Durante la recentemente conclusasi Milan Games Week 2018 la redazione di Tribe Games, nella figura del Buon Portu, ha partecipato, assieme a colleghi rappresentanti di svariati siti e blog del settore, a un’intervista round table con il CEO, Fondatore, Director e Scrittore di Quantic Dream, David Cage (al secolo David De Gruttola), mentre creativa dietro a tutti i titoli prodotti dalla compagnia francese, dal debutto con Omikron: The Nomad Soul nel 1999 per PC e Dreamcast al misterioso Fahrenheit, uscito su PlayStation 2 e Xbox nel 2005, dall’esplosione di popolarità ottenuta con il capolavoro Heavy Rain al discusso Beyond: Two Souls (entrambe esclusive PlayStation 3 uscite rispettivamente nel 2010 e 2013) fino ad arrivare al recente successo di Detroit: Become Human, uscito durante il mese di Maggio 2018 in esclusiva per PlayStation 4.
Dalle sue ispirazioni ai suoi progetti futuri, dal suo rapporto con Twitch e la tecnologia VR all’esperienza di lavoro al fianco di David Bowie, David Cage si è aperto a noi mostrandoci un creativo umile, sincero, onesto e conscio dei proprio limiti. Ecco a voi il resoconto completo dell’intervista, che si è aperta con un allegro “Buongiorno” da parte di Cage (unica parola che ha dichiarato di conoscere nella lingua italiana)
Giornalista 1: Con Detroit ha esplorato il lato oscuro dell’umanità. Volevo sapere quali saranno i futuri, grandi passi del suo studio.
Cage: Beh, non so se ho esplorato il lato oscuro dell’umanità in Detroit perché sento di averne esplorato anche il lato luminoso. Forse il lato luminoso non era negli umani ma negli androidi, che in una qualche maniera considero comunque degli esseri umani, un sorta di lato diverso dell’umanità che si contrappone alla “vecchia” concezione, divenuta egoista e dipendente dalla tecnologia.
Io mi auguro che la razza umana del futuro sia più simile ai miei Androidi, persone con occhi e mentalità aperte che tentino in qualche modo di reinventare il mondo. Perciò non credo che Beyond sia un titolo così pessimista e oscuro, credo invece che sia un titolo che tratta principalmente i pericoli che stiamo attualmente affrontando ed il fatto che nel futuro potremmo cadere vittima di queste insidie, ma la mia sperenza è che questo avverrà e che in qualche modo noi umani “diventeremo gli androidi”, persone con menti aperte che accettano le differenze e che lottano contro il razzismo e la segregazione. Questa è la mia speranza.
Riguardo alla seconda parte della tua domanda, dove sto andando col mio studio…Oh mio Dio è una domanda veramente complessa. La verità è che ci sono molte cose in ballo..sapete ho 49 anni, ho creato Quantic Dream 21 anni fa e ho visto diverse fasi storiche di questa industria, ne ho vissuti gli alti ed i bassi, e ci sono stati momenti nei quali hanno cercato di convincermi a prendere la via più facile e commerciale, come ad esempio quando mi dicevano di fare giochi su internet, poi di sviluppare MMO e titoli multiplayer ed infine di lavorare a titoli VR. Ovviamente non li ho mai ascoltati, noi di Quantic Dream abbiamo sempre fatto solamente quello in cui credevamo ed eccoci ancora qui, 21 anni dopo, di fronte a voi a parlare di un videogioco che, nuovamente, è diverso da quello che il mercato richiede.
In definitiva direi che la mia speranza principale è continuare a realizzare giochi che siano sempre diversi e freschi, quella è la cosa più importante per me.
Giornalista 2: nel 2013 era stata presentata una tech demo intitolata The Dark Sorcerer. E mai stata valutata l’idea di produrre un gioco basato su questa tech? o c’è già qualcosa in cantiere?
Cage: Quando facciamo queste brevi demo, onestamente, non abbiamo nulla di particolare in mente. So che ho detto la stessa cosa con Kara ed è diventato Detroit, è vero, ma quando abbiamo ralizzato il corto Kara, non avevamo alcun piano di trasformarlo in un gioco completo, per noi era solo una demo tecnica. Solo successivamente siamo finiti ad innamorarci dell’attrice, dei temi e dei personaggi che avevamo creato e abbiamo sentito che dovevamo trarne un gioco completo.
Ci siamo divertiti molto con The Dark Sorcerer, è stato veramente spassoso da produrre, anche se in realtà creare qualcosa di divertente e comico è sempre difficile. Non so se la gente l’abbia trovata divertente come Tech Demo, a noi è piaciuta molto ma in defintiva tutto ciò che posso dire è che al momento non ci sono piani di sviluppare un gioco basato su questa demo. Non voglio dire la parola mai poichè non escludo del tutto la possibilità che, chissà, magari un giorno svilupperemo qualcosa attorno a questo mondo e a questi personaggi. O forse produrremo qualcosa di diverso, in ogni caso cercheremo di sorprendervi e di realizzare qualcosa che non vi aspettate.
Giornalista 3 (Portu): Negli ultimi anni c’è stato un considerevole aumento della popolarità dei video di gameplay su Youtube e ancora di più degli stream su Twitch. Attività come queste hanno un impatto positivo per i titoli narrativi come appunto Detroit oppure provocano dei danni, ad esempio spingendo molte persone che hanno guardato il titolo giocato da altri su Twitch a non acquistarlo e dunque giocarlo loro stessi?
Cage: Questa è una domanda veramente interessante. In realtà, parlando in maniera sincera, all’epoca di Beyond c’è stata della frustrazione da parte nostra poiché abbiamo visto persone fare milioni di visualizzazioni con un titolo creato da noi. Il problema è che queste persone hanno ricavato un guadagno dal nostro titolo mentre noi no proprio perché numerosi utenti si sono detti “Oh no, conosco già la storia, non ho più bisogno di comprare il gioco”. Tutto questo è stato, onestamente, davvero frustrante, è stato come vedere qualcuno “rubare” il tuo lavoro.
Con Detroit invece, forse perché il gioco era diverso, forse perché il momento era diverso, abbiamo potuto osservare un netto cambiamento. Quello a cui abbiamo assistito erano si delle persone che guardavano video di Detroit su Twitch o Youtube ma, avendo il titolo così tante ramificazioni, un video poteva mostrare solo un particolare sentiero e dunque abbiamo assistito a numerose persone che si sono dette “oh questo titolo sembra interessante, mi piace la storia ma voglio fare le mie scelte personali, quindi lo acquisterò”. Questa volta ho quindi avuto la sensazione che Twitch, Youtube e servizi simili fossero alleati e non nemici.
E’ stato molto interessante, ed esempio osservare, il primo giorno di lancio del titolo, un ragazzo su Twitch che ha giocato il gioco in tempo reale in una sola sessione, per più di 10 ore iniziando al mattino e terminando, veramente esausto, la sera. Al termine di tutto però il ragazzo ha concluso lo stream con più di 200.000 persone che guardavano il titolo in tempo reale, il che è qualcosa di incredibile, praticamente un’intera città che stava guardando Detroit in tempo reale.
Siamo molto intrigati da tutto ciò e riteniamo che ci siano nuovi modi di giocare che ancora non abbiamo sfruttato o immaginato come il Crowdplay, un servizio che potrebbe interessare molto il pubblico offrendo la possibilità di votare assieme per vedere la propria versione della storia. Ci sono molte cose che possono essere fatte e siamo molto interessati ad esplorare queste opzioni.
Giornalista 4: Parlando di attori, le è mai capitato di rivedere o di riscrivere la scena di un personaggio perché ispirato dall’interpretazione dell’attore, come alle volte capita ai registi di film? E sempre legato a questo argomento, ero curioso di sapere se c’è un attore famoso con il quale le piacerebbe particolarmente collaborare per un futuro progetto.
Cage: Per quanto riguarda la prima domanda, in realtà quello che è particolare nel lavoro che facciamo è che, per via delle diverse ramificazioni e combinazioni di elementi, è davvero difficile, sullo stage, improvvisare poiché scriviamo tutto in anticipo e, essendoci numerose variabili e condizioni, abbiamo davvero bisogno di filmare solamente quello che è stato pianificato. Quello che avviene spesso è invece che discutiamo con gli attori sullo stage prima delle riprese, soprattutto riguardo ai dialoghi e a cosa direbbe il loro personaggio o come potrebbe reagire, effettuando dei piccoli aggiustamenti al copione basandoci sulla loro performance e sulle loro sensazioni. E’ sempre grandioso lavorare con attori cosi talentuosi come Clancy Brown (Hank), Bryan Dechart (Connor), Valerie Curry (Khara) o Jesse Williams (Markus). Queste persone “diventano” i personaggi perciò come regista li dirigo solo durante i primi giorni perché in breve tempo loro riescono a conoscere i loro personaggio esattamente come li conosco io e talvolta ancora meglio, riuscendo ad offrire delle interpretazioni veramente valide dei personaggi e dunque proponendo idee sensate su come ciascuno di essi potrebbe agire o comportarsi. Questa è una parte veramente affascinante della mia esperienza in Quantic Dream.
Riguardo alla seconda parte della tua risposta, non “sogno” di lavorare con un attore in particolare, ci sono veramente tanti attori di talento, alcuni di loro sono famosi, altri non lo sono. Per farvi un esempio, molta gente non avevano mai sentito parlare di Bryan Dechart prima che lavorassimo con lui. Conoscete IMDb, il sito di cinema? All’interno del sito è presente una sorta di termometro per misurare l’hype e la popolarità di un attore. E davvero buffo poiché quando iniziammo a lavorare con lui Bryan era circa alla posizione 13.000 di questa classifica mente dopo una settimana dall’uscita del titolo, era tra i primi 100, semplicemente grazie a Detroit. E al suo talento ovviamente.
Secondo me è grandioso sapere che ci sono molti talenti di cui nessuno ha mai sentito parlare ed il nostro lavoro è anche quello di andare a cercarli e scovarli. Quando abbiamo provinato Valerie Curry per la prima volta, prima che fosse in The Following, The Tick e in molte altre serie televisive, lei aveva messo in pausa la sua carriera ma noi la trovammo in una casting room e pensammo che era veramente spettacolare, una vera stella. Siamo davvero felici che il nostro lavoro ci permetta di trovare queste persone, metterle di fronte a voi e dirvi “guardate, queste persone hanno talento. Quindi alla fine non mi interessa la fama, non sto cercando la stella più brillante per metterne il nome sulle copertine, sto solo cercando il giusto attore per il giusto ruolo.
Giornalista 4: Perciò le cose sono un po’ cambiate dai tempi di Beyond?
No, le cose non sono cambiate. Il motivo per cui lavorai con Ellen Page era perché pensavo che fosse la persona giusta per Jodie Holmes, non l’ho fatto perché era famosa. Con Willem Dafoe la stessa cosa, era l’incarnazione perfetta per il ruolo che avevo in mente.
Certo non dico che non voglio lavorare con le persone famose, come dicevo io voglio l’attore giusto per il ruolo giusto, che sia famoso o no non è importate. Anzi, lasciate che vi dica una cosa: lavorare con attori famosi talvolta è più un problema che una risorsa. Questi attori sono grandi, brillanti e talentuosi, c’è ovviamente un motivo per cui sono famosi, ma allo stesso tempo, nelle menti di alcune persone, siano essi giocatori o giornalisti, spesso si instaura la sensazione che i grandi nomi vengano spesso associati a giochi terribili, che la loro presenza sia una sorta di inganno di Marketing per far vendere comunque il gioco, facendo passare un messaggio che sembra dire “Guardate ho questi grandi attori stampati sulla copertina perciò dimenticatevi se il gioco fa schifo, quello che conta è il grande nome”. E nel nostro caso non l’abbiamo mai fatto, lavoriamo sempre con attori che amiamo, che riteniamo abbiano talento e soprattutto che siano le persone adatte per le parti che abbiamo in mente.
Certo, se questi attori sono dei grandi nomi, vanno messi in conto alcuni problemi di solito, ma li affrontiamo sempre a testa alta e dunque non cambierei nulla di quello che ho fatto in Beyond Two Souls, lavorare con Willem e Ellen è stata un’esperienza meravigliosa ed inoltre quei due hanno messo in scena una delle recitazioni migliori che io abbia mai visto in un videogame.
Giornalista 5: Le è mai venuto in mente di creare degli spin-off o un seguito di uno dei titoli che ha già sviluppato e presentato? E quanto le ispirazioni dal punto di vista cinematografico e letterario hanno influito sulla sua produzione?
Cage: Riguardo alle mie ispirazioni onestamente quando ero un giovane scrittore, agli inizi della mia carriera, facevo quello che tutti i giovani scrittori fanno: cercare di imitare, emulare o riprodurre i film o i libri che mi piacevano di più. Probabilmente Heavy Rain era la mia versione personale di Seven e Fahrenheit la mia variante del tema di The Matrix. La questione è che, quando cresci e diventi più anziano, cerchi di trovare la tua voce personale e di esprimere quello che tu vuoi dire, non limitandoti a prendere in prestito le idee dalla gente ma cercando di vedere cosa tu puoi proporre. Secondo me il mio vero inizio, Heavy Rain, era ancora influenzato dall’iconografia tipica del genere, ma al suo interno vi era qualcosa di estremamente personale. Per me è stato il primo innesco, la prima scintilla che è proseguita in Beyond: Two Souls, un’opera incredibilmente personale, molto più di quanto la gente crede, che offriva quacosa di davvero profondo. Per Detroit ho cercato nuovamente di dire qualcosa con la mia voce, con il mio modo di scrivere, il mio tono, il mio stile e trattando i temi dei quali mi importa veramente.
E parlare con alcuni giornalisti è davvero interessante perché spesso si ritrovano a guardare indietro a tutti i giochi che ho fatto fino ad adesso e a dire “Oh, questi sono i temi del tuo lavoro, i temi ricorrenti dei quali vuoi davvero parlare”. E io non me ne rendo nemmeno conto, non ci presto attenzione, non so quali siano i temi ricorrenti del mio lavoro perciò è davvero interessante vederli analizzare quali sono gli elementi che ritornano nei miei titoli in termini di emozioni o situazioni. Quindi per il futuro spero di essere influenzato sempre meno dalle mie letture e visioni. Un regista francese ha detto “non importa da dove vengono le idee, l’importante è dove le conduci” ed è un’affermazione interessante ma adesso mi sto concentrando a provare ad essere io stesso un’ispirazione per le nuove generazioni, aggiungendo sul tavolo qualcosa di fresco e cercando di dire a modo mio quello che voglio esprimere.
Riguardo all’altra parte della tua domanda, parlando di spin-off e sequel la risposta è no, non abbiamo mai fatto sequel in 21 anni e la ragione è che produrre questa tipologia di videogames è davvero un processo stancante. Per quattro anni, ti svegli al mattino e la prima cosa che pensi è il gioco, la sua storia, cosa è possibile migliorare, come risolvere i problemi…per quattro anni il gioco è la tua vita, non c’è spazio per nient’altro quindi quando lo sviluppo del titolo è finito si ha davvero la sensazione e la necessità di voler voltare pagina e di iniziarne una nuova. Questo almeno è quello che abbiamo provato fino ad ora lavorando alle nostre creazioni.
Non dico che non faremo mai sequel di uno dei nostri titoli, non ho nulla contro i sequel fino a che si ha qualcosa di nuovo da dire, fino a che il desiderio di creare un seguito è motivato dalla volontà di dire qualcosa di più sul tema già trattato e non perchè ci sono dei giocatori che chiedono insistentemente di dargli di più.
Mettere un cantiere un sequel solo per accontentare i fan, anche se non si ha nulla da dire, porterà irrimediabilmente ad un titolo che non funzionerà e che deluderà sia chi lo ha richiesto con insistenza che i fan della opera precedente. Quello che penso è che la cosa più importante è avere passione per quello che si fa ed essere sinceri, onesti e avere qualcosa di vero da raccontare, solo così un sequel avrà senso. Sono conscio che siamo sotto una grande pressione da parte della comunità del gaming per produrre un sequel di Detroit ed è qualcosa che abbiamo seriamente preso in considerazione, ma non faremo un “Detroit 2” fino a che non avremo qualcosa da dire che sia forte come quello che abbiamo espresso nel primo Detroit.
Giornalista 6: Sono un Grande Fan di David Bowie (Cage ride e afferma “So am I” N.d.R.). Volevo chiederle che ricordi ha di lui, com’è stato lavorare con David Bowie in persona.
Cage: (ridendo) Le abbiamo due ore? Sai, lavorare con David Bowie è stato un sogno che diventava realtà. Quando lavori con un tale idolo, perché lui non era solo una star, era praticamente un Dio, non sai mai cosa aspettarti e ti domandi se sarà difficile? sarà ingestibile? sarà un rockstar capricciosa? o domande simili. In realtà David è stato una della persone più gentili sulla Terra. Incredibilmente disponibile, incredibilmente umile, semplice e professionale, una persona da sogno con cui lavorare. Sicuramente non ha avuto gli atteggiamenti che ci si poteva aspettare da una rockstar, era davvero una brava persona. Ho tanti ricordi del tempo che abbiamo passato assieme; abbiamo collaborato per un anno in totale e per un intero mese siamo stati assieme ogni singolo giorno poichè venne a Parigi e ogni giorno ci incontravamo e io gli mostravo a che punto eravamo col gioco, discutevamo degli artwork e del design, della storia e delle idee che avevamo. Incontrarlo ogni giorno per un intero mese è stato sicuramente il momento più interessate della mia carriera poiché è davvero memorabile il riuscire ad avvicinarsi così a tanto a qualcuno come lui, una vera iconica della cultura pop globale, una leggenda vivente. Ricorderò sempre quello che mi disse quando iniziammo a lavorare assieme: mi chiese infatti “Entro quando ti serve la Colonna Sonora (di Omikron n.d.r)” e io gli diedi una data casuale, diciamo il 3 novembre. Il 3 novembre, un anno dopo, lui mi consegno la colonna sonora esattamente nel giorno pattuito. E prima di farlo mi telefonò e mi fa sempre ridere pensare a qualcuno che ti dice “C’è David Bowie al telefono per te”, sembra quasi uno scherzo. Eppure era vero e lui mi disse che la colonna sonora era completa e mi chiese di dirgli cosa ne pensassi. E io pensai “sei David Bowie, cosa posso dire?”. All’epoca amavo davvero molto The Heart’s Filthy Lesson, una canzone che Bowie aveva composto per i titoli di coda del film Seven, e amavo alla follia quella colonna sonora, così strana ed unica. Quando iniziammo a lavorare assieme mi chiese che avevo in mente per la colonna sonora e gli io dissi che qualcosa di simile a The Heart’s Filthy Lesson sarebbe stato meraviglioso. Lui rispose semplicemente “Mh- mh” e quando, un anno dopo mi consegnò la colonna sonora, non aveva nulla a che fare con The Heart’s Filthy Lesson, era totalmente diversa ma sapete cosa? Era grandiosa, era geniale! Ed era così diversa, mi aspettavo qualcosa di freddo poichè il mondo di gioco era freddo e tetro ma lui mi disse qualcosa di davvero interessante: “Non vuoi che la colonna sonora dica le stesse cose delle immagini, perciò se le immagini e la storia trasmettono qualcosa, allora la colonna sonora dovrebbe aggiungere qualcos’altro al titolo” E questo è un concetto che ricorderò sempre e che cerco di applicare ancora adesso al mio prodotto.
Giornalista 7: Lei crede che è possibile creare una storia con ancora più scelte e ramificazioni rispetto a quelle di Detroit Become Human senza sacrificare la qualità e la profondità di ciascuna? E se possibile è un obiettivo che si è già posto per il suo prossimo lavoro?
Cage: Quello che abbiamo cercato di fare con Detroit e l’Interactive Drama, sin dal principio, era di emulare la vita. La vita è qualcosa di meraviglioso poiché bisogna fare delle scelte, prendere decisioni ed affrontarne le conseguenze, buone o cattive che siano, senza la possibilità di cambiare quello che è successo. Se io ad esempio diventassi sgarbato e ti trattassi male, tu ti turberesti e te ne andresti e sarebbe difficile affrontare le conseguenze di questo gesto. Abbiamo cercato di emulare questo tipo di situazioni nei nostri giochi, permettendo ai giocatori di prendere delle decisioni e di affrontarne conseguenze. Sono infatti le scelte che abbiamo prese nella nostra vita a renderci chi siamo. Ad esempio tu hai scelto chi è o sarà la tua ragazza o il tuo ragazzo, hai scelto che lavoro avresti voluto fare, hai scelto di vestire quella giacca oggi, tutte queste scelte che hai fatto ti hanno reso quello che sei. Quando creiamo gli Interactive Drama cerchiamo di pensare alla stessa maniera e di riprodurre tutti questi dettagli e scelte ma la questione problematica è che nella vita c’è un numero infinito di possibili ramificazioni e non lo possiamo riprodurre tutte, è davvero troppo complesso. Ora, possiamo fare di più di quello che abbiamo già fatto? Onestamente ho sentito, lavorando a Detroit, che abbiamo praticamente raggiunto il limite del genere così com’è.
Il nostro obiettivo principale è di raccontare una storia che è consistente qualunque scelta venga effettuata, vogliamo la stessa qualità di scrittura, recitazione, illuminazione, messa in scena e commento musicale in tutte le ramificazioni narrative possibili. In Detroit ci siamo riusciti, ma è stata una sfida immensa che ci ha richiesto due anni per scriverla e quattro per produrre il gioco completo. Possiamo fare di meglio? Sono orientato a dire non lo so. Io non posso, o almeno non lo so. Intendo dire, ci proveremo certo, cercheremo di fare meglio, altrimenti che senso ha creare un’altro gioco che sia semplicemente la stessa cosa? Sarebbe noioso.
Come possiamo andare oltre? Non ne ho idea, ma lo scoprirò!
Gionalista 8: Nei suoi titoli più recenti l’aspetto cinematografico sta diventando sempre più importante. Pensa che un giorno i titoli Adventure cinematografici potranno raggiungere lo stesso status artistico che il cinema adesso possiede?
Cage: Beh dipende. La prima domanda da porsi è: riusciremo a raggiungere lo stesso livello di realismo? La risposta è si, è solo una questione di tempo ma la tecnologia diventa sempre più potente e sempre più velocemente. Basti pensare ad esempio ai miei lavori: se si confrontano i personaggi di Omikron o di Farhenheit con i personaggi di Detroit…beh, abbiamo fatto qualche progresso (ride n.d.r)
Giornalista 8: Quindi forse un giorno uno dei suoi titoli potrà apparire a Cannes o ad eventi simili e addirittura vincere dei premi?
Forse. Abbiamo più poligoni in un dito di Connor di quanti non ne avessimo in un intero personaggio di Omikron perciò si può notare quanto si sta estendendo il livello di complessità di questo genere di titoli. Tornando alla tua domanda si, è davvero interessante. C’è un famoso regista chiamato Alejandro Iñárritu (Vincitore del premio oscar nel 2015 con Birdman e nel 2016 con The Revenant N.d.R.) che ha ottenuto un Oscar per la sua esperienza VR “Carne y Arena“, un prodotto veramente interessante ed unico. Certo non è un gioco in senso stretto ma è comunque un’esperienza interattiva che ha ottenuto un ottimo feedback perciò forse un giorno vedremo un videogioco ottenere un riconoscimento simile. O forse no, non lo so. L’Academy potrebbe decidere che il gaming è un media totalmente diverso dal cinema, che i media non vanno mescolati e che dunque avremo la nostra Cannes ed i nostri Oscar. Ci sono già alcune premiazioni e cerimonie e forse in un futuro cresceranno in portata e prestigio. Non lo so e sinceramente non credo che sia un mio obiettivo: lo scopo della mia carriera e di quello del mio team non è di ottenere un Oscar. Siamo persone guidati dalla passione, che creano quello in cui crediamo giorno dopo giorno senza pensare troppo a dove tutto ciò ci condurrà.
Giornalista 9: Lei si definisce più un regista oppure più un creatore di videogames?
Cage: Non so come definirmi. Non mi sono mai dato un nome specifico in realtà (ride). Ho scelto di apparire durante i crediti dei miei titoli con la frase “Scritto e Diretto da David Cage” in mancanza di un termine preciso. Mi sento di dire che quello che faccio è sicuramente scrivere ma il termine dirigere mi sembra più adatto solo ai registi di Hollywood, anche se quelle che faccio in fondo, sono le stesse mansioni che fa un regista, solo portate all’interno del mondo dei videogames: lavoro con gli attori, li provino, faccio le prove con loro, li nutro, collaboro con il direttore della fotografia, con i compositori ed infine sono il responsabile per i risultati finali del progetto. Quindi si, da un certo punto di vista il termine regista copre all’incirca tutto quello che faccio. Preferisco il termine Game Director se proprio vogliamo specificare.
Giornalista 10: Cosa ne pensa del fallimento di TellTale? Pensa che quello che è successo è stato causato in parte della mancanza o dall’incapacità di innovare le avventure grafiche?
Cage: Beh, è difficile commentare la situazione di un’altra compagnia. Non so esattamente cosa sia successo, cosa è andato storto o cosa stessero pianificando. Tutto ciò che posso dire è che la strada che abbiamo intrapreso alla Quantic Dream era di posizionare la barra il più in alto possibile dal punto di vista della qualità, della tecnologia, delle visuali e dello storytelling e abbiamo sempre pensato che quella, in qualche modo, fosse la strategia migliore.
Che noi lo vogliamo o no, la gente tende a paragonare le nostre opere ai film e dunque vogliamo offrire loro un’esperienza con la quale possano legarsi, che possano apprezzare e dalla quale possano percepire un senso di creatività ed un senso di regia simili a quelli del medium cinematografico. Questa è la strada che abbiamo scelto e devo ammettere che siamo stati davvero fortunati perché siamo riusciti a trovare dei partner che hanno sempre supportato la nostra visione e soddisfare le aspettative così alte che i nostri titoli riescono a creare, in prim tra tutti Sony, che ci supporta costantemente da ben dodici anni.
Perciò si il successo è anche in parte una questione di fortuna, sopratutto perchè abbiamo avuto il lusso di avere la possibilità di spendere due anni semplicemente scrivendo la storia del nostro titolo, una opportunità che veramente poche persone hanno in questa industria. Quando passi così tanto tempo su una storia, si hanno sicuramente maggiori possibilità di ottenere qualcosa di interessante rispetto a coloro che hanno solo tre mesi a disposizione per scrivere qualcosa.
Perciò, soprattutto per via di questo lusso, siamo stati davvero fortunati con Quantic Dream in questi 21 anni e spero che potremo continuare su questo percorso, cerando nuove idee e innovandoci gioco dopo gioco, cercando di spingere questo medium il più lontano possibile.
Giornalista 11: Quando gioco un titolo di Quantic Dream quello che vedo è un prodotto che vuole trasmettere delle emozioni attraverso una storia. La tecnologia VR a mio modo di vederla è un prodotto che da una grande immersività e quindi riesce a tramettere meglio queste emozioni. Vedremo mai un gioco di Quantic Dream in VR?
Cage: Siamo molti interessati alla Realtà Virtuale, abbiamo tutti i sistemi VR nel nostro studio, sui quali facciamo molti test e giochiamo a molti giochi in VR. Considerando la tipologia di titoli che facciamo, abbiamo due grossi dubbi riguardo alla tecnologia della Realtà Virtuale: il primo è che se si vuole creare un gioco in VR bisogna cambiare drasticamente la maniera in cui si scrive, non è semplicemente possibile prendere una storia ritienuta grandiosa per un Interactive Drama e dire “Ehi, facciamola in VR”. C’è bisogno di scrivere qualcosa per il VR, bisogna disegnarlo con quella tecnologia in mente sin dal principio e questa è ancora una grande sfida per noi perché è un linguaggio totalmente diverso e richiede un approccio al medium completamente differente.
Ad essere onesti riteniamo inoltre di non aver ancora scoperto tutto del modo in cui si creano i videogame “normali” e dunque di poter ancora migliorare in quel campo. Questo ovviamente significa che per noi sarebbe veramente un grande step imparare a creare qualcosa in un linguaggio interamente nuovo per noi, quello del VR.
La seconda cosa che sentiamo è che, secondo noi, il VR non è ancora pronto per il mercato. Forse l’hardware non è totalmente maturo, è grandioso per alcune esperienze ma limitato per altre, inoltre è ancora pesante, cablato e ha ancora dei limiti, ad esempio la gente che percepisce il lag o si sente male dopo averlo utilizzato. Perciò ci sono ancora delle cose da aggiustare per quanto riguarda l’hardware stesso e riteniamo che i designer
debbano ancora lavorare su questo per cercare di creare esperienze valide. Ci vorrà ancora del tempo prima che potremo vedere esperienze veramente meravigliose con il VR ma la piattaforma in se è davvero interessante, unica ed offre un livello di immersione incredibile. Ciò che amo di più della tecnologia VR è quello che viene definito “Senso di Presenza”, ovvero quando sei di fronte ad un personaggio in un videogioco VR ed il tuo cervallo ti inganna e pensa che ci sia davvero qualcuno accanto a te, almeno fino a che la tua mano non gli passa attraverso.
Riassumendo si, ritengo ci sia qualcosa di affascinante nel VR ma credo che abbia bisogno ancora di tempo per maturare quindi forse in futuro ci sarà un titolo Quantic Dream in VR ma decisamente non la prossima settimana.
Giornalista 12: Nei suoi giochi, al di la della componente narrativa, ho sempre apprezzato il design delle piccole interazioni quotidiane come preparare un pasto, vestirsi o accudire un bambino, come vengono sviluppati questi segmenti? Negli anni ha sviluppato un codice preciso oppure ogni volta, ogni singolo gioco richiede soluzioni o idee specifiche?
Cage: Sono sempre stato interessato ed emulare la vita, non solo gli eventi eccezionali come quando ci sono invasioni zombie o aliene, ma la vita di tutti i giorni, e ho sempre pensato che se ti metti nei panni del personaggio e vivi la sua routine e la sua quotidianità di tutti i giorni, ti senti maggiormente immerso e coinvolto emotivamente quando gli avviene qualcosa di particolare, proprio perché hai condiviso con lui la sua vita di tutti i giorni. Già in Omikron avevo sperimentato questa direzione, ma era solamente abbozzata poiché non sapevo nemmeno esattamente perché lo stessi facendo. Il vero cambiamento avvenne con Fahrenheit: ho scritto una scena dove Tyler Miles, il poliziotto di colore, si alza al mattino, bacia sua moglie, si fa la doccia, sceglie cosa indossare, si beve un caffe, ascolta la musica, saluta la moglie e poi esce di casa per andare al lavoro. Non succede nient’altro, nessun grande dramma, è solo la sua vita. Ho scritto questa scena perchè mi sembrava naturale, è una scena che avrei messo in un film ma temevo sinceramente che non avrebbe mai funzionato in un’esperienza videoludica interattiva. Invece, quando infine la implementammo, notammo che c’era qualcosa di davvero affascinante nel condividere questo momento di intimità della vita di uno dei nostri protagonisti. Dando la possibilità ai giocatori di svegliarsi nei panni di quel particolare personaggio al mattino e di vivere uno stralcio della sua vita comune, nel momento in cui a quel personaggio avverrà qualcosa di straordinario, i giocatori si sentiranno più coinvolti e gli importerà di più della sua sorte poichè è un personaggio con il quale avranno legato, del quale conoscono le origini, l’abitazione e l’aspetto della moglie.
Ho pensato sinceramente che questa fosse una scelta suicida come Game Designer, ma ho deciso di farla comunque, perchè volevo provarci e volevo proporre qualcosa di diverso. Il gioco ricevette degli ottimi feedback all’epoca proprio su questo elemento e dunque decisi di voler verificare se questa reazione positiva era stata solo una coincidenza o se era un sistema che poteva funzionare e perciò in Heavy Rain decisi di fare la stessa cosa, mostrando all’inizio del gioco ogni azione della mattinata di Ethan Mars. Parte dell’industria ha trovato questo parti erroneamente divertenti, scrivendo cose come “oh Heavy Rain è un simulatore di succo d’arancia” e all’epoca pensai che erano giudizi davvero ingiusti, fatti da persone che non avevano capito l’obiettivo di quella scena: spingere i giocatori a legare Ethan Mars, mostrandogli la sua vita da uomo e padre felice prima che fosse colpiti da diversi eventi drammatici, ma a quanto parte alcune persone non sono riuscite a fare questi collegamenti.
Da quel momento capii che era diventato un “sistema” ed era inoltre divenuto il nostro modo di narrare le storie, anche se non voglio che questo stile diventi una semplice ricetta da ripetere sempre e comunque allo stesso modo, anzi, in Detroit mi sono divertito a giocare in maniera subdola con queste scene di normalità. Per me in Detroit era veramente importante infatti fare percepire ai giocatori il fatto che nella “quotidianità” di quel mondo, gli Androidi fossero schiavi. I giocatori sono degli Androidi e dunque devono obbedire agli ordini: se i manifestanti li buttano a terra poiché odiano gli androidi, non si può reagire, con Kara si è obbligati pulire la casa e fare le faccende domestiche anche se si viene maltrattati. L’ho fatto perché non è possibile interpretare e comprendere le motivazioni di uno schiavo che si ribella e combatte per i suoi diritti se prima non si è mai provato o compreso cosa significa essere uno schiavo.
Giornalista 13: Mi chiedevo se ci fosse uno o più giochi che l’avessero ispirata quando era giovane, che l’hanno spinta a diventare un designer e fondare un suo studio e creare i propri videogiochi.
Cage: Si, in realtà ci sono dei titoli che effettivamente mi hanno ispirato quando ero più giovane. Io ho 49 anni, provengo da quella generazione che ha giocato ai videogames sin dalla loro nascita.
In gioventù sono stato molto ispirato dai vecchi Adventure Games e c’erano molti game designers francesi che lavorarono ai primissimi titoli di questo genere, mi viene da pensare ad Éric Chahi, creatore di Another World, Frédérick Raynal, padre di Alone in the Dark oppure in generale ai titoli delle vecchie compagnie francesi come Silmarils, Lankhor o Delphine Software, responsabili di giochi incredibili.
In particolare fui molto ispirato da un titolo chiamato Maupity Island, un vecchio titolo 2D story driven dell’Atari ST ambientato su un’ isola dove era avvenuto un omicidio. Vi erano moltissimi personaggi e bisognava investigare per capire cos’era davvero successo sull’isola.
Quando iniziai a scrivere e a pensare di fare un gioco, volevo creare un titolo story driven e ritenevo che il 3D sarebbe stato una vera rivoluzione perché improvvisamente, grazie ad esso potevamo avere un senso di regia, potevamo avere emozioni, potevamo ottenere visuali migliori e con esse suscitare sentimenti ed emozioni più forti e questo è ciò che mi ha attirato a diventare seriamente un game designer.
Giornalista 14: Io l’ho sempre definita un Poeta dei videogiochi (Cage ringrazia N.d.R.) La domanda che le faccio è abbastanza standard: Sta già scrivendo, ha già ideato una nuova poesia per noi?
Cage: Si. (Attimo di silenzio e risate gioiose dei colleghi in sala N.d.R.). Non posso dire di più onestamente, ma posso assicurarvi che quello su cui stiamo lavorando è folle, totalmente irragionevole e probabilmente impossibile, ma è sempre così quando iniziamo un nuovo gioco. Abbiamo provato la stessa sensazione quanto abbiamo iniziato a lavorare a Detroit ma ci siamo detti facciamolo comunque! E in questo momento stiamo provando esattamente le stesse sensazioni di allora!
Giornalista 15: Parlando della narrativa, ci sono molti argomenti e temi in Detroit ma probabilmente l’argomento principale sono gli Androidi e l’Intelligenza Artificiale. Molti autori, prima di te, hanno parlato di questi temi, basti pensare a Isaac Asimov o a Philip K. Dick. Come ti sei posto rispetto a questi autori e in cosa secondo te accomuna e differenzia Detroit dalle opere di questi autori?
Cage: Quando abbiamo iniziato a lavorare a Detroit, persino quando presentai il progetto al mio team per raccogliere feedback ed opinioni sull’idea, e per me avere il mio team a bordo è a cosa più importante quando inizio un progetto, il feedback iniziale fu simile alla tua domanda: ci sono tante storie che parlano di IA e di Androidi che dominano il mondo, come potrà Detroit essere differente da quello che è stato scritto prima? E la mia risposta a questi feedback era che avremmo narrato una una storia in una maniera molto diversa da come erano state scritte quelle in precedenza. Non avremmo certo inventato qualcosa che non si era mai visto, ma di certo avremmo avuto un tono, uno stile ed un approccio specifico. Il mio obiettivo principale non era scrivere di Androidi e di IA, volevo scrivere di Noi, degli Esseri Umani. Non credo che il tema principale sia l’IA in Detroit, il titolo non parla dell’IA, parla dell’Umanità ma e su cosa significa essere Umani, in molti modo. E’ un titolo che parla di segregazione, razzismo, differenze, di anime che combattono per i propri diritti e che cercano di capire cosa è giusto e cosa sbagliato. Più di tutto, Detroit parla di Identità. Perciò non ho mai pensato che stessimo facendo concorrenza ad Asimov o altri, semplicemente perché non ritengo che stiamo parlando degli stressi argomenti.
Giornalista 16: In passato Heavy Rain ha utilizzato il PlayStation Move, Beyond ha usato il PlayStation App mentre Detroit non presenta nessuna feature simile. Come mai? Ha mai pensato di tornare a sfruttare queste esperienze di gioco alternative?
Cage: Abbiamo sempre cercato di trovare metodi per rendere i nostri giochi più accessibili per un’audience sempre maggiore. Il Move era una risposta intelligente all’epoca di Heavy Rain e siamo contenti di averlo realizzato, visto anche il fatto che la versione Move ha avuto un buon successo. Con Beyond, come hai detto, abbiamo provato questa app mobile con cui connettersi alla propria PlayStation e siamo davvero felici perché più di 400.000 persone hanno finito il titolo con i propri telefoni cellulari, un numero folle se ti fermi a pensarci. Siamo sempre stati ossessionati da queste idee ma con Detroit non sentivamo la stessa necessità, pensavamo che il gioco avesse differenti livelli di difficoltà e che dunque fosse abbastanza accessibile così com’era. Forse è un pochetto meno esotico di com’era Heavy Rain in passato, se ricordate ci si muoveva in avanti con i grilletti dorsali, qui ci siamo detti: facciamo un passo verso le convenzioni alle quali la gente è abituata, in modo che l’interfaccia in Detroit non sia una barriera e che i giocatori possano giocarlo nella stessa maniera in cui giocano qualunque avventura in terza persona.
Ma siamo ancora davvero interessati all’innovazione e cerchiamo sempre di vedere come potremmo utilizzare hardware innovativi ed implementarli nei giochi che creiamo per cercare nuove maniere per interagire con il titolo. Sono molto eccitato da ciò e continuerò a cercare di innovare nel futuro e di trovare nuove soluzioni
Abbiamo finito? Cool, Grazie a tutti! (Giro di applausi e breve sessione di foto e autografi con i giornalisti presenti)
Devi essere connesso per inviare un commento.