Pongiornissimo, spiriti della Tribù, e ben ritrovati per una nuova recensione su Nintendo Switch! Oggi si torna a parlare di un titolo narrativo nipponico, sembra che questa sia diventata la mia nicchia di appartenenza qui in redazione. Non che mi lamenti, eh, anche se…
Dovete sapere che io sono un gran fifone e cerco di tenermi alla larga da qualunque prodotto “pauroso” che il mercato dell’intrattenimento mi possa tirare dietro, sia che si parli di film, fumetti o, ovviamente, videogiochi. Immaginate la mia grande sorpresa quando mi è stato assegnato il compito di giocare Spirit Hunter: Death Mark II. Una visual novel horror a stampo investigativo. Direste bene voi che ci troviamo davanti alla ricetta per il disastro, ciononostante… sono riuscito a sopravvivere (e più avanti scoprirete meglio anche come) a questa esperienza e ora sono qui per parlarvi di questo titolo. Accendete la vostra fidata torcia e preparatevi dunque ad addentrarvi con me nella recensione di questo terrificante titolo in salsa investigativa!
Death Mark II è il terzo capitolo di una serie di storie interattive dell’orrore intitolata, in maniera piuttosto letterale se si guarda al titolo giapponese, Spirit Hunter. Questi titoli mettono il giocatore nei panni di personaggi che si ritrovano a fronteggiare per la propria sopravvivenza eventi paranormali che coinvolgono degli spiriti. Al contrario di quelli che noi occidentali potremmo chiamare fantasmi o spettri (quindi presenze incorporee), gli “spiriti” di cui qui si parla sono invece esseri sovrannaturali che hanno sì un legame coll’anima di un defunto, ma che venendo generati sempre da un grande senso di risentimento dello stesso possono causare seri danni a noi esseri umani.
Al contrario del secondo gioco della saga [ovvero Spirit Hunter: NG N.d.R.], Death Mark II riporta oltretutto in scena il protagonista e molti comprimari del primo capitolo della serie, legandosi spesso ad esso nei riferimenti alle vicende passate. In particolar modo, i suoi personaggi vengono identificati in un modo preciso, tramite il termine Mark Bearer (letteralmente “portatori del marchio”), a seguito degli eventi che hanno vissuto.
Il titolo ci fa quindi vestire i panni di Kazuo Yashiki, il celebre “Spirit Doctor” [ma non chiamatelo così N.d.R.] sopravvissuto a inquietanti esperienze pochi mesi prima, che viene invitato a investigare su alcuni eventi oscuri nella prestigiosa Konoehara Academy, nella periferia di Tokyo. Dopo la sparizione di una studentessa, a cui le autorità non hanno potuto dare alcuna spiegazione, il preside vuole che qualcuno di più avvezzo all’occulto si occupi di scongiurare un’ulteriore scomparsa. Le sparizioni dei ragazzi paiono infatti sempre legate ad avvisi sinistri, firmati da una misteriosa figura, il tanto chiacchierato The Departed, e appesi alla bacheca dell’istituto con vistose impronte digitali rosse.
Senza addentrarci troppo nella storia, possiamo dirvi che l’intreccio porterà il protagonista e i suoi compagni a dover fronteggiare una minaccia sempre più crescente nel tentativo di scoprire chi è colui che firma la condanna a morte degli studenti. Impresa tutto tranne che semplice, dato che The Departed si nasconde all’interno della stessa scuola, camuffato come un essere umano, e sembra sempre un passo avanti a tutti.
Pur non potendo discorrere dei risvolti narrativi che Spirit Hunter: Death Mark II affronta nel corso della sua narrazione, possiamo senza dubbio parlare della messa in scena dei suoi personaggi e temi.
Yashiki è una figura ben scritta, un uomo quasi normale [il “quasi” è importante N.d.R.] che si ritrova ad affrontare problemi ben al di fuori dell’ordinario e con cui un approccio troppo razionale non ha spesso effetto. Gli spiriti dei morti, in fondo, non appartengono a questo mondo e non seguono la logica dei vivi. Si percepisce come la sua psiche venga erosa pian piano dai tremendi eventi della trama, ma egli, con un po’ di fortuna e supporto dai suoi alleati, nonostante tutto riesce a perseguire il suo obiettivo. I diversi comprimari, pur non potendo prendere direttamente il suo ruolo, lo sostengono e si dimostrano preziosi nell’affrontare ciò che minaccia la scuola e i suoi studenti. A parte Yashiki, sono pochi i personaggi molto approfonditi, però, discorso che si applica in particolare a coloro che ritornano dal primo Spirit Hunter, il cui profilo psicologico è solitamente affidato a descrizioni [o a riferimenti rivolti ai fan N.d.R.].
Molti sono poi i temi trattati dal gioco, anche e soprattutto perché ogni spirito presente in Death Mark II si porta dietro la sua sottotrama [mai davvero slegata da quella principale N.d.R.]. In modo mai banale il team di Experience mette in scena argomenti come l’amicizia e gli amori giovanili, ma anche il suicidio e la corruzione. Uno spietato miscuglio che va così a denunciare la stessa cultura giapponese, colla sua facciata di perfetta austerità ben esposta davanti… e le sue colpe ben tenute nascoste per non insozzare la prima.
Tutti gli argomenti che gli sviluppatori hanno voluto trattare confluiscono però in un punto centrale, ciò che genera e tiene in piedi l’orrore stesso del titolo, ovvero il rancore, reso in inglese col termine “grudge”. È il risentimento generato dalle azioni malvagie e ingiuste, qualcosa di così terribile e profondo che riesce a sopravvivere oltre la morte, a far nascere i mostri vendicativi del titolo: un circolo d’odio di questo tipo non nasce spontaneamente, ma è opera dell’uomo stesso. Solo coloro che comprendono che i carnefici di oggi sono anche le vittime di ieri possono salvare l’anima degli spiriti.
Al contrario dei suoi predecessori, Spirit Hunter: Death Mark II è una visual novel che ha dalla sua, oltre a una storia ottima, anche delle fasi di gameplay d’avventura, che permettono di accentuare le caratteristiche investigative del gioco.
Esplorare le varie zone della scuola muovendosi in ambienti a scorrimento è il primo di questi aspetti e, a essere sinceri, è forse anche quello che nella sua semplicità risulta più impattante. Navigare i vari corridoi dell’accademia, passando dagli edifici ben tenuti alle zone abbandonate, non è qualcosa che si può fare con leggerezza, soprattutto di notte, e a volte può risultare quasi un processo lungo e tedioso. Paradossalmente, questo tratto va quindi a intensificare la tensione del titolo, che nelle fasi dopo il tramonto sblocca anche la sua parte di “caccia al tesoro”, dove i giocatori che esplorano minuziosamente ogni anfratto vengono premiati con delle lost soul, collezionabili che permettono sia di comprare oggetti protettivi che di aumentare di livello. L’infermeria scolastica sarà inoltre la vostra base operativa e per tornare lì si potrà almeno usare il viaggio rapido… quasi sempre.
Per risolvere il mistero che circonda The Departed sarà però necessario mettere le mani in pasta; così, in diverse occasioni, avremo la possibilità di scegliere chi accompagnerà Yashiki nelle indagini. Sarà poi possibile indagare con una visuale in prima persona zone precise della mappa e risolvere piccoli enigmi anche grazie all’ausilio dei comprimari.
Sfruttiamo poi questo momento per parlare di uno degli aspetti che probabilmente avrebbe dovuto essere approfondito meglio sul lato gameplay, i cosiddetti Suspensive Act. In questi momenti al cardiopalma, i giocatori sono chiamati a fare delle scelte cruciali, tra una lista di possibili opzioni, per poter proseguire. Ogni alternativa per esser eseguita necessita di una dose di energia e ha anche la sua percentuale di successo [e state attenti, perché una percentuale alta non equivale a un’azione corretta N.d.R.], un po’ come in un gioco da tavolo: malgrado le intensità di queste situazioni, le differenze dei personaggi (rappresentate da delle statistiche) non sembrano impattare in modo sufficientemente marcato le situazioni. L’idea è buona, ma manca di quel guizzo in più, insomma.
Come da tradizione, l’ultima parte di questa recensione andrà a toccare gli aspetti tecnici e artistici del titolo in questione, tutti di alta qualità. A livello grafico, principalmente, il gioco alterna i tipici ritratti dei personaggi o le sue tavole statiche, usate nel corso dei dialoghi, ad ambienti bidimensionali esplorabili tramite lo scorrimento orizzontale, che fanno la loro comparsa durante le investigazioni. Il saggio utilizzo dei colori e delle scritte a schermo (in particolare nell’alternarsi del bianco, del nero e del rosso) esegue ottimamente il compito di dare una solida base visiva alla narrazione. Unico momento in cui il titolo perde mordente a livello visivo è durante le fasi di confronto coi “boss”, dove alcune animazioni applicate a immagini prettamente 2D probabilmente non rendono a sufficienza, rispetto ad altri aspetti del titolo.
Alla resa grafica già ottima, comunque, aggiungiamo anche un commento positivo al comparto tecnico. Il titolo non ci ha infatti mai causato problemi, sia giocando dalla TV che in portatile [anche se il gioco non supporta i controlli touch N.d.R.] e si è comportato egregiamente.
Dove forse programmatori e artisti non sono riusciti a raggiungere la perfezione, il reparto che ha lavorato al sonoro di Death Mark II ha invece toccato le stelle e pensiamo meriti quindi un plauso davvero speciale.
Le note brusche di un pianoforte, i rintocchi di una campana, l’orrenda voce che appartiene a The Departed… tutto ciò che ha un ruolo rilevante nel gioco è pensato per essere reso a livello sonoro in maniera chiara e distinguibile. Temi visivi come gli insetti e la muffa fanno costantemente capolino, ma sono in realtà i rumori e le musiche [per non parlare dell’assenza degli stessi N.d.R.] a farla veramente da padrone nel corso dell’avventura. Tramite le orecchie di Yashiki, il giocatore arriva dopo poche ore a riconoscere le sonorità chiave del gioco, riuscendo a capire, anche prima che qualcosa venga effettivamente mostrato a schermo, chi (o cosa) sta per arrivare, alzando la tensione e l’anticipazione per ciò che deve ancora avvenire. Le stesse voci dei personaggi, che di base non sono doppiati, vengono usate col contagocce proprio in quei momenti chiave in cui gli sviluppatori sanno bene che ciò potrà fare la differenza. Davvero spettacolare.
Prima di concludere questa analisi sul gioco, dobbiamo fermarci un attimo e fare una dovuta confessione. La nostra avventura nei corridoi della Konoehara Academy si è totalmente svolta grazie all’ausilio di due opzioni diverse che il gioco rende disponibili fin dall’inizio: la prima consiste nel poter censurare (sgranando e ingrigendo) le immagini più cruente, mentre la seconda rimuove ogni sorta di jumpscare dal gioco. Inoltre, il titolo avvisa il giocatore subito prima di una serie di scene animate particolarmente cruente, permettendo anche di sostituire i filmati in questione con descrizioni scritte. Non sappiamo come mai gli sviluppatori siano stati COSÌ attenti nei confronti di persone estremamente sensibili [ecco svelato l'arcano sulla mia sopravvivenza N.d.R.], ma abbiamo trovato queste scelte delle soluzioni di design efficaci e in grado di non alterare l’immersività del gioco, preservandone anzi la tensione e ampliandone, forse, addirittura il pubblico.
Detto ciò, il fatto che il gioco sia stato valutato come PEGI 16 e non 18 ci ha abbastanza lasciati dubbiosi, ma ciò non dipende di certo dagli sviluppatori…
Così giungiamo al termine di questo pezzo, “traumatizzati”, ma soddisfatti. Colle sue profonde radici che si innestano nel folclore nipponico, Spirit Hunter: Death Mark II fin da subito rivela la sua anima di racconto dell’orrore e trascina il giocatore in una spirale di follia di quasi venti ore che, nei momenti più alti della sua narrazione, è sicuramente in grado di scuotere gli animi di molti. Anche in questo caso ci troviamo davanti a un prodotto che si rivolge a un pubblico che ha voglia di leggere molto in lingua straniera (non essendo presente l’italiano), ma che indubbiamente riesce nel suo obiettivo di creare una storia che tratta di terrore, realtà e investigazione, in un mix di horror psicologico e paranormale.
Considerando che il titolo è stato finanziato grazie a una raccolta fondi dei fan e, rispetto a nomi più altisonanti, il numero di persone che ci ha lavorato è decisamente esiguo, riteniamo che questo sia un prodotto veramente pregevole nel suo genere. Se cercate un gioco che vi faccia vivere un’avventura da affrontare tutta d’un fiato, siete sulla pista giusta!
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