Ben ritrovati ragazzi nella recensione del gioco, per me, più importante dell’anno, ossia Indiana Jones e l’antico Cerchio, e devo dire fin da subito che quando MachineGames, lo studio dietro la serie Wolfenstein, è stato annunciato come sviluppatore del nuovo videogioco dedicato a Indiana Jones, la notizia mi è parsa immediatamente sensata. Dopo tutto, il team eccelle nell’unire azione in prima persona con intensità narrativa, specialmente nel contesto di epiche battaglie contro i nazisti. Tuttavia, ciò che nessuno si aspettava era un mix esplosivo di esplorazione aperta, simile alla serie Dishonored, gameplay emergente in stile Hitman, e combattimenti corpo a corpo ispirati ai sottovalutati titoli della saga di Chronicles of Riddick, che fanno parte del DNA creativo di MachineGames. Potrei parlare per ore di tutte le aspettative e i pensieri che avevo all’annuncio di Indiana Jones e l’antico Cerchio, delle sensazioni dopo averlo visto alla Gamescom di quest’anno, di quanto abbia influenzato la mia infanzia, adolescenza e vita, o del perché sia così importante come personaggio e franchise per me, ma vi ammorberei e basta. Quindi bando alle ciance e benvenuti nella recensione di Indiana Jones e l’antico Cerchio!
Indiana Jones e l’antico Cerchio si apre in modo sicuro, riproponendo l’iconica sequenza iniziale de I Predatori dell’Arca Perduta. Questa introduzione serve a mostrare la grafica all’avanguardia e a familiarizzare con il sistema di movimento e il platforming. Sebbene possa sembrare un omaggio nostalgico, l’effetto funziona: ci siamo trovati a sorridere mentre ripercorrevamo quella scena cult [e ci sono dei testimoni oculari che possono confermare N.d.R.]. Fin da subito, è evidente che Todd Howard [autore della storia e promotore del progetto N.d.R.] e il team di MachineGames abbiano colto perfettamente il tono e il linguaggio visivo che rendono unica la saga di Indiana Jones. Realizzare un moderno action-adventure basato sull’archeologo più famoso del cinema sarebbe potuto essere semplice, considerando l’eredità di titoli come Tomb Raider e Uncharted. Invece, MachineGames ha osato con un approccio diverso: un’avventura più ampia, dal ritmo lento e profondamente immersiva. Certo, non mancano sezioni lineari e momenti spettacolari, ma il gioco non si limita a offrire un’esperienza “rollercoaster”. Al contrario, permette di vestire davvero i panni di Indiana Jones, con ricerche approfondite, travestimenti, furtività nelle basi nemiche e combattimenti improvvisati. Questo approccio potrebbe non soddisfare chi cerca un’azione più frenetica, ma è proprio questa audace visione che rende Indiana Jones e l’Antico Cerchio una perla rara. Ogni elemento del design si combina in modo così naturale che ci si chiede come mai nessuno abbia mai provato a realizzare un’avventura simile prima d’ora.
Dopo le prime ore passate a esplorare il Vaticano, risolvendo enigmi mentre ci si muove travestiti da servitori della Chiesa o da membri del partito fascista, il gioco trova il suo ritmo. Le ambientazioni principali offrono un mix di libertà esplorativa e sezioni più tradizionali, sempre con uno spettacolo visivo degno del grande schermo. La scelta di adottare una visuale in prima persona, anziché il classico terza persona, rende l’esperienza più intima e coinvolgente. Non si gioca semplicemente nei panni di Indy: siamo Indy. Il combattimento, pur presente, non è il fulcro. Indiana Jones non è un maestro d’armi né un esperto di arti marziali: si affida all’improvvisazione e alla furbizia. Questo spirito permea ogni aspetto del gameplay, dalla furtività agli scontri, che risultano sempre autentici e mai superflui. La progressione è semplice, ma efficace. I “punti avventura” guadagnati completando missioni o scoprendo segreti possono essere investiti in potenziamenti legati alle abilità di base, senza aggiungere complessità inutile. Questo minimalismo mantiene l’attenzione sull’azione e sull’immersione. Dal punto di vista narrativo, la storia brilla per personaggi memorabili e colpi di scena ben orchestrati, il tutto in un’avventura di 15-20 ore che si inserisce perfettamente tra I Predatori dell’Arca Perduta e L’Ultima Crociata. La scrittura cattura l’essenza dei film, regalando momenti di pura emozione che culminano in un finale che ci ha lasciati soddisfatti, ma desiderosi di nuove avventure.
Anche il comparto tecnico è eccellente; grazie a un motore grafico derivato dall’id Tech 7, il gioco è visivamente spettacolare e fluido. Il comparto audio, come da tradizione LucasArts, è impeccabile, con una colonna sonora che richiama magistralmente i temi di John Williams, curata da Gordy Haab.
In definitiva, Indiana Jones e l’Antico Cerchio è una delle migliori esclusive Xbox degli ultimi anni e una delle avventure più audaci e innovative mai realizzate. Se amate i film di Indiana Jones, l’archeologia e il brivido dell’esplorazione, questo è il gioco che stavate aspettando.
Il gioco ci è stato fornito dal publisher per PC
Benvenuti, ragazzi e ragazze della Tribù, sulle nostre pagine, questa volta per la recensione di Albatroz, un titolo decisamente particolare realizzato da Among Giants e pubblicato da SOEDESCO.
Questo gioco, rilasciato l'1 novembre per PlayStation 5, Xbox Series X|S e PC tramite Steam, parla di una ragazza, Isla, che parte per un viaggio alla ricerca del fratello scomparso. In questa avventura, definita dagli sviluppatori come un GdR esplorativo, dovremo quindi guidare la ragazza in ambienti montani dove incontreremo vari personaggi e ci scontreremo con molti ostacoli.
Albatroz mi ha incuriosito per la sua atmosfera strana e quasi spirituale, che in alcune situazioni mi ricordava un film Disney dei tempi d'oro. Mi sono quindi tuffato in questa esperienza con una grande aspettativa per quanto riguarda l'aspetto artistico e narrativo, che sembravano essere ciò su cui il team aveva spinto di più. La domanda che sorge di conseguenza è: sarà valsa la pena di immergersi in questo viaggio quasi onirico?
Prima di iniziare, vi dico che ho giocato al titolo per svariate ore, ma che la lunghezza di questo viaggio dipende dal percorso intrapreso da ognuno: non esiste un'unica strada predefinita e ciò fa sì che ognuno di noi possa giocare al ritmo che preferisce, cosa che ho molto apprezzato.
Ora, finite le introduzioni, vi lascio alla recensione di Albatroz!
Albatroz si presenta inizialmente come un semplice gioco di esplorazione, nel quale, alla guida della nostra fidata automobile, dovremo esplorare le Terre Proibite, un luogo estremamente particolare a metà tra la realtà e l'immaginazione; questo posto, infatti, si presenta poco dopo l'inizio come un luogo particolare, con gli alberi estremamente colorati, l'erba di un verde molto acceso e l'acqua più limpida che la nostra protagonista abbia mai visto.
In tutta l'avventura, infatti, Isla non perderà occasione di commentare la bellezza di un fiore o di un altro elemento della natura che la circonda, definendola molto più bella di qualsiasi altra avesse mai visto. Persino un semplice tulipano diventa qualcosa di cui prendersi cura per la sua magnificenza.
In ogni caso, come detto in precedenza, la trama segue il desiderio di Isla di trovare il fratello maggiore, scomparso mesi prima dopo essere passato per queste terre. Il ragazzo era un'esploratore con un'incredibile sete di avventura, soddisfatto solamente in ambienti ostili che lo mettessero alla prova, un desiderio che aveva trasmesso anche alla sorellina quando erano bambini.
Ora Isla si trova a dover affrontare gli stessi territori che lui ha attraversato, anche se con molta meno esperienza; è così, infatti, che ci ritroviamo immediatamente a lasciare la nostra automobile e ad avventurarci nella natura selvaggia a piedi, con solamente il nostro fidato zaino in spalla contenente tutto il necessario per la sopravvivenza.
Improvvisamente diventa notte e una nebbia gelida ci circonda, impedendoci di vedere se non a pochi passi intorno a noi, pochi passi che però bastano per notare una figura che si muove nella nebbia e che Isla sembra riconoscere come Kai, suo fratello.
Persasi nella foschia, Isla sviene e a noi giocatori viene mostrata una vista che ha dell'incredibile: una montagna viva, con occhi e bocca, che si muove in maniera agitata e apparentemente arrabbiata.
Questa visione onirica si conclude e noi, tornati nei panni di Isla, ci risvegliamo nella capanna di Sence, una ragazza del villaggio di El Condor che stavamo cercando di raggiungere. Dopo una breve discussione con la giovane sciamana, lei decide di accompagnarci nel nostro viaggio, che da quel momento diventerà sempre più particolare e spirituale.
Non andiamo a raccontare di più di questa trama, in quanto rovinerebbe l'esperienza di ciascuno, ma possiamo dire che ci ha sorpresi in positivo; nonostante i dialoghi non siano eccelsi [però essendo un team indie al loro secondo gioco glielo si può concedere N.d.R.], le emozioni vengono ben trasmesse dai personaggi tramite il doppiaggio in inglese e la trama di per sé presenta vari colpi di scena veramente inaspettati.
Possiamo però aggiungere che Albatroz si presenta come un'esperienza che vuole parlare di molti argomenti, ma in particolar modo dell'importanza di lasciare andare, di non attaccarsi eccessivamente a persone o cose, poiché tutto in questa vita ha una fine, per quanto longevo possa essere.
Un messaggio per niente scontato e che, per motivi personali, abbiamo sentito molto vicino, oltre che importante da comprendere e trasmettere.
Oltre ad una buona trama, un gioco per essere considerato di buona fattura deve avere un gameplay che risalti o che faccia risaltari le altre componenti; ebbene Albatroz mostra di avere un gameplay estremamente accurato, capace di farci sentire come se fossimo realmente tra monti ad arrampicarci per arrivare in cima o in una valle piena di foreste, corsi d'acqua dolce, frutti, erbe... insomma, riesce a far immedesimare benissimo anche il giocatore meno avvezzo a questo tipo di avventura.
Il titolo infatti presenta una serie di componenti survival di cui tenere conto, come il serbatoio della benzina dell'automobile, che si esaurisce facilmente, o la condizione di gambe e braccia che si deteriora nel corso della giornata, per poi essere recuperato dormendo la notte, come se diventassero sempre più rigide a causa dello sforzo. Ma non solo, gli sviluppatori di Among Giants hanno anche inserito variabili come la pendenza del terreno, la sete, la fame, la temperatura corporea relativa a quella esterna che va regolata con vestiti più o meno caldi o mangiando e bevendo alimenti che possano scaldarci o farci abbassare la temperatura, come un peperoncino rosso o il grog speciale di un abitante del villaggio.
Albatroz rivolge anche grande attenzione allo sviluppo dei personaggi che avremo a nostra disposizione, dato che, come detto prima, figure come Sence si uniranno al nostro gruppo di esploratori, ognuno con i propri punti di forza e le proprie debolezze. Di conseguenza è importante anche tener conto delle condizioni degli altri membri del gruppo, oltre che delle loro abilità speciali, capaci di rendere il viaggio molto più comodo;oad esempi lo Sprint di Isla, le permette di non consumare la condizione delle sue gambe, le pozioni di Sence permettono di recuperare parte della condizione proprio delle suddette gambe e braccia.
Avremo quindi la possibilità di migliorare ognuna di queste loro statistiche grazie ai punti viaggio guadagnati esplorando i dintorni e trovando i punti di riferimento di cui sentiremo parlare.
Insomma, il gameplay di questo titolo riesce a supportare a pieno la trama, ma si ritaglia anche un proprio posto sotto i riflettori, offrendo un'esperienza piena di sfide e variegata.
Ora parliamo dei punti deboli del titolo, che altrimenti avrebbe meritato un voto nettamente più alto. Partendo dall'aspetto grafico, esso risulta ispirato e con una chiara direzione, ma si presenta con una grafica nella quale sono spesso visibili pixel e definibile quasi da vecchia generazione.
Presenta vari glitch grafici e problemi di illuminazione che rendono l'esperienza a volte frustrante e poco incisiva. Inoltre anche le animazioni risultano alquanto legnose e spesso sono la causa di compenetrazioni o bug peggiori [dei quali parleremo a breve nel paragrafo dell'aspetto tecnico N.d.R.]. Un vero peccato, dato che le idee da cui scaturiscono gli ambienti sono molte volte geniali e sarebbero state da incorniciare, se non fosse per questi problemi ricorrenti.
Per quanto riguarda il comparto tecnico, esso risulta anche peggiore di quello grafico, e di molto. Purtroppo sotto questo punto di vista si presentano vari problemi, da hitbox mal posizionate che rendono l'interazione con certi oggetti un vero incubo, fino ad arrivare a bug capaci di rompere completamente il gioco [mi è successo, nella prima run, di finire sopra ad una caverna di una montagna con entrambi i personaggi, cosa che mi ha impedito di continuare in qualsiasi maniera dato che i personaggi non si muovevano più, ma semplicemente levitavano in aria sopra al muro di ghiaccio e neve della caverna montana N.d.R.].
Non solo, anche la gestione della mappa è molto insicura, permette di muoversi nonostante fosse chiaramente inteso che il gioco in sottofondo rimanesse bloccato e alcune funzioni della mappa stessa non sono utilizzabili, portando solamente ad avere dei segni in punti casuali al posto di poter mettere dei marker dove fosse più utile.
Insomma, sotto l'aspetto tecnico Albatroz si presenta in maniera disastrosa e ha decisamente bisogno di lavoro per essere sistemato.
Infine discutiamo del sonoro. Questo è l'unico di questi tre comparti che si difende sufficientemente, riuscendo a evocare emozioni genuine in determinati momenti della trama e dando ottime sensazioni di libertà nel momento in cui si viaggia per la valle o per il villaggio di El Condor. Il problema emerge nella forte ripetitività delle tracce presenti e nella poca varietà degli effetti sonori, oltre che nella bassa qualità di alcuni di essi.
Alla fin fine si può dire che sia stato fatto un buon lavoro in questo comparto, ma sicuramente si poteva fare di meglio.
Ci siamo tuffati in questa avventura con l'aspettativa di vivere un'esperienza da film Disney, con una morale alla fine mascherata dall'aspetto cartoon e dai colori vivaci. Possiamo dire di aver avuto ragione in parte, ma Albatroz è decisamente diverso da quello che ci aspettavamo: il titolo vuole essere maturo, vuole trasmettere un chiaro messaggio attraverso la sua arte e le parole dei personaggi in gioco, un messaggio che dice di riavvicinarsi alla natura e alle nostre origini, di rompere la routine quotidiana per ritrovare noi stessi e di non conformarci alla società. Vuole trasmettere un messaggio che dice "esplorate la vostra identità, trovate ciò che vi rende unici".
Perlomeno questo è quello che Albatroz è riuscito a far arrivare al vostro redattore, un insegnamento che abbiamo trovato stupendo e importante.
Quindi, se siete capaci di andare oltre ad alcuni problemi tecnici e grafici, vi consigliamo caldamente di provare questa esperienza, che merita di essere vissuta
Il codice per Xbox Series X|S ci è stato fornito dal publisher.
Bentornati, amici e amiche della Tribù, sulle nostre pagine, questa volta per la recensione di Orange Season! Parliamo di un titolo che prende ispirazione da Stardew Valley e che cerca di distinguersi a modo suo, mantenendo però la classica atmosfera rilassante che contraddistingue questa tipologia di giochi. Sviluppato da Innerfire Studios e pubblicato da SOEDESCO, questo gioco è stato pubblicato il 24 ottobre di quest'anno su Nintendo Switch, PlayStation 5, Xbox Series X|S e PC tramite Steam e Epic Games Store.
Gli sviluppatori definiscono Orange Season come un GdR agricolo, in cui siamo chiamati a prendere possesso di una fattoria lasciata alla mercé del tempo e delle condizioni atmosferiche.
Mi sono approcciato a questo titolo con ben chiara in mente l'idea di base da cui sono partiti gli sviluppatori [avendo giocato per ore e ore a Stardew Valley al tempo dell'uscita di quest'ultimo N.d.R.] e con delle aspettative.
Sarà riuscito a soddisfarle?
Come al solito, prima di lasciarvi alla parte corposa della recensione, vi informo del fatto che ho giocato per svariate ore al titolo, ma la sua lunghezza è pressoché infinita, vista la forte impronta sandbox estremamente simile ad altri giochi di questo genere, come il già citato Stardew Valley o Harvest Moon. Questo gioco quindi offre un'esperienza limitata solo dalla vostra voglia di giocare.
Ora senza ulteriori indugi, ecco a voi la recensione di Orange Season!
Orange Season, esattamente come gli altri esponenti del genere GDR agricolo, presenta una trama molto leggera e poco invadente, volta a fare da linea guida per gli avvenimenti. Per quanto presenti alcuni colpi di scena, perlopiù vuole essere un elemento a supporto di tutto il resto, capace di dare un forte contesto senza essere fastidiosa.
In questa storia, infatti, ci caliamo nei panni di un giovane che scopre l'offerta della vita e decide di acquistare, ad un prezzo irrisorio, una fattoria situata a Orange Town, un piccolo paese. Purtroppo il prezzo basso significa che la fattoria è stata abbandonata dal precedente proprietario e al momento è in disuso.
Sicuramente per la persona media questo genererebbe sconforto e probabilmente porterebbe a lasciar perdere, ma noi non siamo una persona qualsiasi: ci mettiamo quindi subito al lavoro, supportati dagli abitanti del paese, in particolare dal sindaco Julia.
Dopo una prima chiacchiera, durante la quale ci vengono donati degli attrezzi agricoli offerti dagli abitanti del villaggio, Julia ci lascia nelle mani del suo fratellino, Benjamin, che ci insegna le basi dell'agricoltura e ci commissiona il nostro primo carico, ovvero cinque rape mature che dimostrino il nostro potenziale.
Da questo punto in poi, la trama rimane molto in sottofondo ed emerge il grande lavoro di scrittura del mondo che ci circonda: ogni personaggio incontrato dimostra di avere una propria personalità, ognuno con la propria routine giornaliera, le proprie preoccupazioni e i propri obiettivi. Noi quindi arriviamo ad infilarci in tutte queste questioni, aiutando prima uno e poi l'altro abitante, aumentando il nostro grado di relazione con loro e diventando parte integrante della vita di Orange Town. L'aria che si respira camminando per la cittadina è molto vivace, realistica e riesce a rendere bene l'idea di trovarsi in un paese con una comunità molto legata e nella quale tutti conoscono tutti.
Insomma, la trama e storia di questo titolo sono perfettamente in linea con quella di altri del genere, ma l'abbiamo in realtà trovata un po' debole e poco presente. Ovviamente non è sbagliato che sia sviluppata in questa maniera, ma avremmo gradito un maggior grado di coinvolgimento del giocatore in tutto questo. Per quanto puntino a farti diventare parte della vita del paese, giochi come quelli precedentemente citati lo fanno decisamente meglio.
Questo titolo vuole farci diventare dei fattori in tutto e per tutto e ci lancia immediatamente nel mezzo dell'azione: attrezzi alla mano e prima commissione ricevuta, ci si mette subito ad esplorare le meccaniche di questo GdR agricolo. Alla base di tutto c'è ovviamente la coltivazione, la quale implica anche la conoscenza di cosa coltivare in ogni stagione. In Orange Season, infatti, abbiamo un sistema di stagioni e di passaggio del tempo, legato all'orologio nell'angolo alto a destra dello schermo. Questa sezione, come molte altre del titolo, prende a piene mani da Stardew Valley e giochi simili, dandoci la possibilità di ottenere risorse base come legno, pietra e simili dalla fattoria stessa [abbandonata da chissà quanto tempo, nella fattoria sono cresciuti molti alberi ed è stata invasa da erbacce, pietre, frutti caduti dagli alberi e molto altro N.d.R.].
Nella nostra fattoria quindi, possiamo tagliare alberi, raccogliere frutti, zappare il terreno per prepararlo ad essere seminato e innaffiare le nostre colture per farle crescere forti, oltre a guadagnare valuta mettendo i risultati del nostro lavoro nella cassa delle consegne che viene svuotata ogni mattina dal fattorino addetto.
Al di fuori di essa, invece, troviamo la vita dei cittadini e tutti i loro negozi e attività, dalla spa gestita da Thalia, fino alla fucina di Viktor, il fabbro. Ogni negozio della zona risulta utile e ogni personaggio ha un motivo di gameplay, oltre che di trama, per essere disponibile.
Il gameplay quindi non varia molto dai giochi del genere GdR agricolo, ma si presenta con alcuni piccoli problemi, perlopiù legati alla precisione delle hitbox per alcune azioni, specialmente per quelle legate alla coltivazione. Riuscire a selezionare il pezzo di terra giusto a volte risulta estremamente frustrante se si sta giocando con un pad [il vostro redattore ha giocato al titolo su Xbox Series S N.d.R.]. Oltre a questo problema, ci sono altre piccole cose che possono risultare fastidiose, come il movimento in otto direzioni che a volte porta a rimanere incastrati in un muro o in una staccionata [una volta ho avuto un softblock dovuto al cercare di scendere dal secondo piano aperto di una casa: il personaggio si è incastrato e attraversava i muri, rimanendo però bloccato nei confini della casa stessa N.d.R.].
Orange Season propone un reparto grafico in pixel art ben realizzato, dai colori vivaci e dall'aspetto nitido: i personaggi sono molto riconoscibili e per trasmettere al meglio le emozioni e le espressioni di ognuno sono stati implementati dei ritratti di fianco ai box di dialogo. Anche l'ambiente è ben realizzato e la maggior parte di ciò che si vede a schermo risulta fedele alle controparti reali, per quanto reso in maniera più cartoon. Pecca in parte sulle animazioni, che spesso sono scattanti e poco fluide.
Sotto l'aspetto sonoro, invece, il titolo presenta sia buone qualità che problemi: da una parte la colonna sonora è ottima e rilassante, dall'altra presenta poche tracce e poca varietà. Ci sono pochi effetti sonori che rendono il mondo vivo, per quanto quelli presenti siano di eccellente qualità.
Infine, sotto il punto di vista tecnico, il titolo purtroppo presenta svariati problemi di hitbox e di compenetrazione sia del personaggio principale, che possono portare a softblock, sia degli oggetti, che rendono difficile interagirci.
In definitiva, il titolo realizzato da Innerfire Studios è un'ottima entrata nel mondo dei giochi GdR agricoli e riesce a riprodurre quelle sensazioni di tranquillità e calma. Il problema è che non presenta nulla di veramente innovativo e risulta problematico sotto alcuni aspetti. Ha quindi rispettato le nostre aspettative? La risposta si trova a metà tra il sì e il no, è un gioco interessante per passare alcune ore, ma spinge il giocatore a tornare su titoli più affermati come Stardew Valley, anziché catturare completamente l'attenzione.
Il codice per Xbox Series X|S ci è stato offerto dal publisher.
Di Fairy Tail abbiamo parlato numerose volte tra la recensione del primo capitolo e lo speciale dedicato all’uscita targata Gust e Koei Tecmo. Il manga di Hiro Mashima è stato per anni simbolo di una tipologia di shonen molto discussa, incentrata sui combattimenti e sugli eccessivi power-up ricevuti dai vari protagonisti con una scrittura, al contempo, mediocre e tendente al fanservice.
Dopo aver parlato della prima uscita su PlayStation 4, Switch e PC di Fairy Tail nel 2020, torniamo circa quattro anni dopo con la recensione sul secondo capitolo. Dopo aver passato in compagnia di Natsu e compagni svariate ore, siamo pronti a parlarvi di Fairy Tail 2 che farà il suo debutto domani su PC e il 13 dicembre su PlayStation 4, PlayStation 5 e Nintendo Switch.
Fairy Tail 2 riprende proprio da dove si è interrotto il suo predecessore, continuando la storia scritta dal maestro Mashima e buttandoci completamente nell’arco finale. Dopo aver combattuto contro Tartaros i protagonisti si ritrovano a dover affrontare la minaccia dell’Impero di Alvarez comandato dall’Imperatore Spriggan, meglio conosciuto come il Mago Oscuro Zeref. Questo scontro si rende necessario quando Zeref dichiara guerra alla Gilda e all’intero continente per cercare di recuperare la misteriosa magia Fairy Heart in modo da poter passare a miglior vita distruggendo al contempo tutto ciò che è di più caro al primo master di Fairy Tail. La narrazione ci permette di vivere l’intero arco dell’Impero di Alvarez e la fine di una delle opere più impressionanti (sia positivamente che negativamente) dell’intero panorama visti i suoi numerosi alti e bassi. Nel caso conosciate già l’opera, il gioco non provvederà a darvi ulteriori spunti, ma semplicemente – come quasi tutti i giochi basati su manga o anime già editi – una narrazione degli eventi 1:1 con numerose scene che vengono ricreate quasi alla perfezione con il motore di gioco. Almeno da questo punto di vista non abbiamo molto da riferire, il gioco scorre perfettamente e nel corso delle circa 25 ore necessarie per arrivare ai titoli di coda [senza contare secondarie o contenuti aggiuntivi, in quel caso è possibile arrivare anche al doppio N.d.R.] scoprirete chi è davvero E.N.D. e incontrerete i più forti maghi mai esistenti su Fiore. Al termine del gioco base è presente una piccola storyline secondaria, inedita per questo titolo, che nasce come semplice beach episode classico di ogni manga/anime che si rispetti, ma finisce per diventare una grandissima introduzione a 100 Year Quest che, probabilmente, verrà adattato a videogioco nel prossimo futuro nel caso continui la partnership tra Koei Tecmo e Hiro Mashima.
Se la storia nasce come un vero e proprio sequel del predecessore, il team di sviluppo ha deciso di attuare alcuni grandi cambiamenti dal punto di vista del sistema di combattimento. Abbandonato il puro sistema a turni, Gust ha deciso di proporre un combat system simile a quello visto negli ultimi Atelier con un misto tra turni e action, con l’introduzione di un sistema di debolezze e break che indebolisce ulteriormente l’avversario in certe condizioni. Il team sul campo da battaglia è composto da tre maghi di Fairy Tail [niente guest d’eccezione come nel predecessore N.d.R.] che si possono scambiare in qualsiasi momento sul campo di battaglia, andando a sopperire a preferenze personali [chi non vuole giocare con Laxus ed Erza in prima linea invece di Gray e Juvia? N.d.R.] o a necessità elementali da sfruttare necessariamente a difficoltà più alte, pena la sconfitta immediata. Una volta ottenuto il proprio turno il personaggio può attivare delle combo fisiche o una delle 6 tecniche a disposizione utilizzando i tasti frontali che possono essere, a loro volta, concatenate tra loro in modo da sfruttare il potenziale offensivo. Per poterle scatenare, però, si ha la necessità di accumulare Special Points – che si ottengono con le combo semplici – e spenderne un certo numero per poter attivare le tecniche più potenti, pensiamo ad esempio ad alcuni attacchi di Natsu che possono infliggere danno ad area piuttosto che il semplice pugno infuocato base che – invece – fa danni limitati a un singolo avversario. Subire danni, e farli al proprio avversario, permette al personaggio di attivare una sorta di “Risveglio” che permette di accumulare SP più facilmente e attivare così gli attacchi più potenti con il minimo sforzo. All'inizio del combattimento, però, gli SP sono limitati ed è solo sbloccando i Fairy Rank (utilizzando le mosse speciali e fino a un massimo di 5) che è possibile incrementare il numero di punti accumulabili e, quindi, poter effettuare le tecniche più potenti.
Un’ultima meccanica presente nel sistema di combattimento è il sistema di Break, una barra presente sulla testa dei nemici (o più barre nel caso dei boss) che una volta svuotata permette l’attivazione di mosse in combo con uno dei due compagni di team, oppure del più potente Unison Raid – una versione potenziata delle combo tra due maghi, dove fondono i loro tipi di magia insieme – che infligge numerosi danni ai boss e permette di velocizzare di molto gli scontri. Le battaglie con i boss, purtroppo, si riducono spesso a button mashing per accumulare SP e l’utilizzo di questi per le tecniche più potenti, con la possibilità di attacchi in combo e Unison Raid una volta svuotate le barre Break. Purtroppo non abbiamo trovato per nulla divertenti queste sezioni e, anzi, l’unica curiosità è stata quella di vedere alcune delle più importanti combinazioni di maghi interagire tra loro con mosse uniche e già viste più volte nell’opera principale di Mashima.
La mancanza di divertimento per gli scontri più ardui rende spesso complicato completare le missioni secondarie, abbiamo trovato questo elemento peggiore rispetto al precedente titolo e – anzi – avremmo preferito il mantenimento dei turni fissi, non tanto per una questione di mera preferenza personale, ma perché implementare un sistema simil Atelier deve avere un senso e poter donare ai giocatori più interazione del mero button mashing e concatenazioni di tecniche a ruota, simulando il comportamento in un MMO con le varie rotation di spell da eseguire per battere un raid.
Dal punto di vista tecnico siamo davanti a un gioco indietro di una generazione. Ovviamente non aiuta l’uscita su Nintendo Switch o PlayStation 4, ma se il brand Atelier è riuscito a fare un balzo enorme dal punto di vista tecnico, ci risulta difficile da capire come Gust abbia potuto proporre un prodotto simile al termine del 2024. Gli ambienti sono totalmente spogli, con pochissimi elementi di sfondo da mostrare a schermo, e i modelli risultano totalmente sballati con proporzioni sbagliate [i seni sono letteralmente palloncini di elio N.d.R.] e poco definiti. Siamo rimasti abbastanza esterrefatti dalla qualità Fairy Tail 2 su PC, piattaforma su cui lo abbiamo potuto provare, dato che risulta male ottimizzato nonostante giochi decisamente meglio messi dal punto di vista tecnico (vedasi ad esempio God of War: Ragnarok) girino perfettamente sulla stessa configurazione. Spesso nelle fasi più concitate il framerate è arrivato anche a alla singola cifra (il picco negativo è stato di 3 fps durante un combattimento a metà gioco) e lo stesso problema si è presentato anche su Steam Deck dove, addirittura, siamo stati costretti a chiudere di prepotenza il gioco, in quanto la console non riusciva a processare più di 2 fps con un uso di CPU eccessivo che, purtroppo, non permetteva neanche l’accesso al menù principale. Da una casa di sviluppo come Gust non ci aspettavamo la stessa fedeltà grafica di Santa Monica, Rockstar o Square Enix, ma neanche un titolo che fosse notevolmente peggiore anche di Atelier Ryza 3 su PC.
Per quanto riguarda le musiche ci siamo ritrovati davanti a quelle originali sentite già nell’anime e in ulteriori media dedicati al brand così come sono rimasti anche i doppiatori originali giapponesi, con le voci che hanno da sempre contraddistinto Natsu, Erza, Gray e tutto il cast di Fairy Tail. Come da tradizione Gust, il gioco è disponibile unicamente in lingua inglese per quanto riguarda i testi, con un linguaggio non troppo complesso. ma anzi abbastanza semplice da capire anche per coloro che non hanno affabilità con la lingua d’albione.
Fairy Tail 2 purtroppo è stata una mezza delusione [personalmente avevo enormi aspettative per questo titolo visto il suo predecessore N.d.H.] e siamo qui costernati nel doverlo dire. Da Gust ci aspettavamo certamente di più sia dal punto di vista del gameplay sia dal lato tecnico, soprattutto visto che precedenti titoli della stessa compagnia giravano più che bene sulla stessa configurazione che in queste settimana ha visto avere come picco negativo 3 fps per un gioco uscito a dicembre 2024. Sicuramente è necessario, almeno su PC, grandi ottimizzazioni sia per la piattaforma fissa che per Steam Deck, dove non abbiamo avuto neanche modo di giocare a causa degli enormi problemi causati dalla build in nostro possesso.
Nuovo nascituro della serie, The House of Da Vinci VR è probabilmente il più curioso per molte ragioni. In questo titolo ci troveremo infatti a rivivere il primo capitolo della trilogia classica, trasposto per l’occasione in realtà virtuale (disponibile su Steam e Meta Quest Store).
Detto questo, non pensiate nemmeno per un secondo di trovarci di fronte ad un adattamento pigro e mal fatto; al contrario Blue Brain Games ha fatto un egregio lavoro nel portare l’esperienza di gioco da una vista 2D, come quella di un monitor, ad una in 3D stereoscopico come quella offerta da un visore VRr. La cura per la ricostruzione dei livelli è infatti ottima, cosa che ci ha portato più volte a soffermarci ed osservare gli splendidi scenari della Firenze rinascimentale, o le riproduzioni fantasiose e talvolta esistenti delle invenzioni di Leonardo, reali e vivide proprio davanti ai nostri occhi.
Prima di parlare nello specifico di questa versione VR, però, ci piacerebbe spendere due parole per introdurre la serie a chi non dovesse averne mai sentito parlare. The House of Da Vinci è infatti composta da tre capitoli, usciti negli anni passati che raccontano le vicende di Giacomo, assistente di Leonardo, alla ricerca del suo maestro. Come scopriremo giocando questo primo capitolo in VR, infatti, Leonardo si sentirà in pericolo, e come tale cercherà di scappare da Firenze per mettersi al sicuro [vedremo nel gioco da chi N.d.R.].
Prima di andarsene però lascerà una serie di indizi destinati a noi, in modo da permetterci di seguirlo nel suo percorso al nostro ritorno. Per fare ciò dovremo risolvere una serie di enigmi e puzzle che ci spianeranno la strada verso il nascondiglio di Leonardo, ma attenzione, perché questo non sarà proprio un gioco da ragazzi. Per essere in grado di risolvere questi enigmi, costruiti un po’ come una escape room virtuale, sarà fondamentale avere spirito di osservazione e un pizzico di arguzia. In primo luogo, ogni stanza in cui ci ritroveremo sarà composta da più di un puzzle, e non tutti saranno risolvibili in un primo momento. Per completarli sarà spesso necessario trovare prima degli oggetti o delle informazioni nascoste da altre parti, o che diventeranno disponibili risolvendo altri enigmi. Anche così però a volte otterremo delle chiavi incomplete, che dovremo in alcuni casi semplicemente manipolare per renderle utilizzabili o, in altri momenti, dovremo combinare con altri oggetti per capirne finalmente l’uso.
In questa versione VR di The House of Da Vinci le cose sono particolarmente interessanti proprio per via dell’interazione con l’ambiente e gli oggetti che, grazie ai controller che tracciano il movimento delle mani, risultano piuttosto naturali ed intuitivi. Certo, la sensibilità di questi ultimi non è proprio perfetta, ma mancando dei feedback fisici realistici il gioco deve sopperire cercando di adattarsi alle azioni del giocatore, anche se queste potrebbero non essere perfette e precise al millimetro. In questo aspetto il gioco si comporta piuttosto bene e durante la recensione abbiamo incontrato ben poche sbavature in tal senso, fermo restando che a tratti sarà necessario fermarsi un attimo e permettere al tracking dei controller di raccapezzarsi magari per un paio di secondi, per evitare movimenti magari troppo bruschi. Detto ciò, questi momenti di incertezza sono abbastanza rari e si risolvono nel giro di pochi secondi.
Poter osservare i puzzle e gli enigmi in modo così vivido e così da vicino è invece un qualcosa che, al di là di qualche imperfezione, riesce a rendere in modo eccezionale la cura con cui molte delle animazioni sono state realizzate. I puzzle che ci troveremo ad affrontare non sono infatti impossibili e, come spesso accade nella serie, non richiedono conoscenze esterne al gioco o pregresse. A dispetto di ciò, sarà possibile ritrovarsi bloccati in alcuni punti, vuoi perché non riusciamo a comprendere un certo enigma, o perché ci siamo persi qualche oggetto o dettaglio sparso per la stanza. Qui viene in nostro aiuto il sistema di supporto realizzato dagli sviluppatori di Blue Brain Games, che ci potrà offrire due suggerimenti diversi. Richiedendo un aiuto potranno infatti succedere due cose, ovvero un cursore animato che ci mostrerà dove andare, nel caso fossimo nella posizione errata, o in alternativa lo stesso cursore attirerà la nostra attenzione su dei particolari oggetti o elementi, eventualmente fornendoci un indizio visuale per guidarci verso la soluzione.
Questi aiuti, realizzati in modo progressivo, sono una vera e propria manna dal cielo e, dopo averli utilizzati in un paio di occasioni, ci siamo resi conto che non compromettono in nessun modo l’esperienza, al contrario spesso ci consentono di non perdere tempo a causa di una distrazione o di una incomprensione; quindi, se doveste trovarvi in difficoltà, usateli senza troppe remore.
Il gioco ben presto ci offrirà ben due meccaniche tanto interessanti quanto fantasiose. Leonardo ha infatti predisposto il suo laboratorio in modo da fornirci due “poteri” e di vincolarli alle nostre mani. I guanti speciali che otterremo ci forniranno una sorta di visione alchemica che ci permetterà di vedere messaggi e meccanismi nascosti, ma anche di visionare delle eco del passato. Il tutto semplicemente usando un interruttore sul polso destro, o una ghiera su quello sinistro. Queste due meccaniche saranno fondamentali per poter risolvere alcuni enigmi, e rappresentano un’aggiunta sicuramente interessante che offre una variante alla risoluzione mera e semplice degli enigmi.
In conclusione, The House of Da Vinci VR è un’esperienza che ci ha colpito positivamente, nonostante la durata limitata del tutto. Nel nostro caso per arrivare a vedere i titoli di coda si parla di poco più di quattro ore, e questo senza procedere in modo particolarmente spedito. A dispetto di ciò gli enigmi, la qualità della narrazione e persino l’ambientazione stessa vissuta in VR sono davvero qualcosa di interessante e coinvolgente. Certo non stiamo parlando di un’opera priva di difetti, e le piccole imprecisioni con i controlli in realtà virtuale ci sono e a tratti si fanno sentire, ma, ad onor del vero, senza mai compromettere l’esperienza fino in fondo.
Nel caso foste interessati il nostro test è stato condotto con un PC di fascia medio-alta, ma con già una certa età (Ryzen 9 3900X, 32Gb RAM e RTX 2080Ti), e il visore usato per l’esperienza è un Meta Quest 2 collegato con Oculus Link Wi-Fi. In queste condizioni il gioco non ha mostrato incertezze o problematiche di sorta, ma tenete a mente che, salvo abbiate una buona connettività Wi-Fi, un cavo è sempre preferibile, dove possibile chiaramente. Se quindi siete in possesso di un visore, o intendete nel prossimo futuro acquistarne uno, il nostro consiglio è sicuramente di tenere in considerazione questo titolo tra i papabili per l’acquisto, di certo non ve ne pentirete.
The House of Da Vinci 3 non è certo un titolo nuovo, il suo lancio originale risale infatti a due anni fa su PC, ma si ripropone oggi per i giocatori console, cercando di portare i suoi enigmi e la sua ambientazione su Xbox e PlayStation.
Per chi non sapesse di cosa stiamo parlando, The House of Da Vinci è composto da una serie di videogiochi dove vestiremo i panni di Giacomo, un apprendista del famoso inventore Leonardo da Vinci, sulle tracce del suo maestro. A causa di una delle sue invenzioni, Leonardo è infatti nei guai e, per evitare di essere trovato dai suoi antagonisti, si è dato alla macchia, ma ha anche disseminato di indizi i suoi laboratori; indizi che possano guidare solamente qualcuno che lo conosce molto bene, ovvero il nostro alter ego. In questo finale capitolo della serie destinata a Leonardo da Vinci [Blue Brain è già al lavoro su una serie dedicata a Tesla N.d.R.], quindi, dovremo trovare il nostro maestro e porre fine all’intrigo ordito contro di lui, cercando quindi di salvaguardare così non solo la sua sicurezza, ma, come ben presto capiremo, il mondo intero.
The House of Da Vinci 3 ci colloca, in tutto questo, nelle battute finali della nostra ricerca, permettendoci di prendere parte ai piani di Leonardo da Vinci e dei suoi alleati. Come in ogni capitolo della serie, anche qui disporremo di alcuni elementi fantascientifici e quasi paranormali che ci verranno in aiuto, sia nel risolvere i puzzle e gli enigmi, sia per tirarci fuori dai guai all’occorrenza. Un chiaro esempio di ciò è l’Oculus Perpetua, strumento che otterremo praticamente all’inizio del nostro viaggio, e che ci permetterà di attraversare determinate fenditure per viaggiare nel passato. Ora gli enigmi che affronteremo nel gioco sono per lo più legati a due fattori: il primo è l’esplorazione ed il secondo è la comprensione del puzzle in sé. Spesso e volentieri troveremo infatti degli enigmi o dei marchingegni che non possono essere risolti subito; questo può essere dovuto alla mancanza di uno o più oggetti o nozioni. Esplorare l’ambiente circostante diventerà quindi importante, per scoprire e raccogliere quegli elementi che ancora risultano mancanti; ma, attenzione, perché a loro volta anche gli oggetti raccolti potrebbero essere incompleti e, per renderli utilizzabili, dovremo quindi combinarli con altri oggetti, o anche analizzarli in modo da interagire con questi ultimi e renderli così adatti allo scopo. Detta così sembra molto complicata, ma credeteci, è molto più difficile a dirsi che a farsi e il gioco, oltre a ciò, fa un ottimo lavoro in modo da proporre all’interno dell’ambientazione tutti gli elementi di cui avrete bisogno per risolvere tutti i puzzle presenti. Questo, oltre a rendere il tutto accessibile, permette di approcciarsi senza avere conoscenze esterne o precedenti, cosa che potrebbe bloccare eventualmente chi non è familiare con la storia di Leonardo o del Rinascimento in generale. Ci teniamo a sottolineare che, anche così, i vari macchinari sparsi per i laboratori del nostro maestro non saranno affatto facili o banali e, anzi, se doveste trovarvi bloccati in un qualsiasi punto del gioco, gli sviluppatori di Blue Brain hanno implementato un sistema di aiuti atto proprio a venire in soccorso in questi momenti. Se doveste sentirne il bisogno, usateli senza remore, in quanto questi non influiscono in nessun modo sulla progressione nel titolo, ed anzi forniscono degli ottimi indizi sul come poter continuare.
The House of Da Vinci 3 è un titolo che riesce, grazie ad una storia relativamente semplice, una serie di enigmi molto ben congeniati ed un comparto artistico decisamente ottimo, a proiettarci direttamente all’epoca rinascimentale, respirando a pieni polmoni il mito, e anche la fantasia che si è sviluppata attorno alla figura del geniale inventore di Leonardo da Vinci. In questo terzo capitolo ci sentiamo infatti di segnalare come solo alcuni momenti ed enigmi siano risultati sotto la media, a fronte di una storia che vi terrà impegnati per diverse ore [per concluderla ci abbiamo messo circa 9 ore di gioco, ma ammettiamo di essercela presa piuttosto con calma N.d.R.].
Questo porting realizzato per console, per concludere, porta con sé qualche ulteriore problemino, purtroppo legato alla traduzione delle varie azioni prima deputate al movimento del mouse, ed ora trasposte sugli stick analogici. Questo nuovo approccio, soprattutto quello legato alla navigazione degli ambienti, rende sicuramente giocabile e apprezzabile il titolo anche su console, ma di sicuro offre un’esperienza più complessa e macchinosa, che forse avrebbe richiesto un attimino più di attenzione nella trasposizione. Detto questo, il fulcro dell’esperienza resta il medesimo e, a nostro modo di vedere, merita sicuramente la vostra attenzione, soprattutto se conoscete e amate il genere.
The House of Da Vinci 3 resta quindi un ottimo gioco basato su puzzle ed enigmi anche nella sua versione console, uno di quei titoli che, anche in virtù del suo prezzo piuttosto contenuto, non possiamo che consigliarvi senza remore.
Ben ritrovati ragazzi in questa nuova recensione. Oggi vi (ri)parlerò di The Thaumaturge, ma questa volta della versione console. Ovviamente per quello che concerne trama e altri argomenti vi rimando alla recensione della versione PC che trovate QUI, ciò che sicuramente posso dirvi è che i problemi che affliggevano la versione per computer sono solo un brutto ricordo e che questa versione arriverà oggi già molto più pulita della sua controparte al giorno di uscita... ma bando alle ciance e ben tornati nella Polonia di inizio '900.
Il termine "taumaturgo" deriva dal greco thaumatourgós, ovvero “esecutore di meraviglie”. Ebbene, The Thaumaturge onora pienamente questa definizione, presentandosi come un GDR isometrico ricco di storia e caratterizzato da meccaniche investigative, scelte morali e una moltitudine di personaggi intriganti. Ciò che lo rende davvero speciale, però, non sono solo i suoi sistemi, ma il modo in cui questi si intrecciano in un mondo vibrante e immersivo. Dire che è facile lasciarsi catturare dall’universo etereo e umano di questo gioco sarebbe riduttivo.
Ambientato nella Varsavia del 1905, ancora sotto il controllo russo, il gioco dipinge una città divisa da conflitti politici, sociali ed economici. Il protagonista, Wiktor Szulski, è un taumaturgo che ritorna nella sua patria dopo la morte del padre. La narrazione si concentra su due storie principali: quella della Varsavia occupata e quella della fragilità umana, con i suoi difetti amplificati dalla presenza dei Salutor, creature eteree capaci di influenzare i comportamenti delle persone.
Il mondo di gioco è ricco di dettagli storici e sociali, veicolati attraverso oggetti interattivi come giornali, note e schizzi che raccontano le sfaccettature della Varsavia dell’epoca. La città diventa un vero e proprio personaggio, vivo e pulsante, mentre le meccaniche investigative e le scelte morali mettono i giocatori di fronte a dilemmi profondi e complessi.
Il gameplay si alterna tra esplorazione, interazioni con i Salutor e combattimenti a turni strategici. La possibilità di influenzare e controllare i Salutor, così come di affrontare le loro sfide, arricchisce ulteriormente la narrazione e il gameplay. Ogni missione, che sia principale o secondaria, è densa di significato e offre risvolti narrativi inaspettati.
Anche se il comparto tecnico non è privo di imperfezioni [ma molte meno rispetto alla versione PC del lancio e privo di bug N.d.R.] con texture poco definite, l’illuminazione e i dettagli ambientali compensano abbondantemente. Nonostante questi piccoli problemi, The Thaumaturge emerge come un’esperienza unica, capace di esplorare tematiche profonde e universali con una narrazione stratificata e un mondo di gioco splendidamente realizzato.
In conclusione, The Thaumaturge è un’avventura GDR che non solo intrattiene, ma invita i giocatori a riflettere sulla condizione umana, presentando una Varsavia affascinante e intrisa di storia. Consigliamo vivamente di immergersi in questo capolavoro di Fool’s Theory, un’esperienza che rimarrà a lungo impressa nella memoria.
Il codice ci è stato fornito dal publisher per PS5.
A distanza di due anni dal suo lancio ufficiale, Warhammer 40.000: Darktide ci propone un nuovo DLC pensato per espandere l’endgame, Grim Protocols. Grazie agli sviluppatori di Fatshark abbiamo avuto modo di mettere mano in anticipo a questi contenuti, ed ora eccoci qui per parlarvi della nostra esperienza. Grim Protocols è infatti un DLC che aggiunge diverso materiale e, a dispetto di ciò, si tratta di un aggiornamento gratuito. Ma andiamo con calma e iniziamo con il guardare alle novità che avremo modo di provare a partire dal 3 dicembre 2024.
Grim Protocols è un aggiornamento decisamente ambizioso, il quale si prefigge di introdurre una buona dose di quality of life e fix al gioco base, e allo stesso tempo di ampliare il gameplay con nuove missioni, contenuti endgame ed eventi. La prima novità riguarda infatti l’introduzione di tre nuove famiglie di armi uniche, la spada potenziata a due mani e la Lama della reliquia del Munitorum che arriverà in due formati, l’Mk X ed l’Mk II. Queste spade sono dedicate alle classi dello Zelota (la spada potenziata) ed allo psionico per quanto riguarda le restanti due (in versione ad una o due mani), e tutte portano con sé delle meccaniche uniche. Ma parliamo ora del contenuto più interessante, ovvero la nuova modalità endgame che verrà introdotta dall’aggiornamento. Questa si chiama Scompiglio, ed è pensata appositamente per i giocatori che hanno già raggiunto il livello 30; qui ci ritroveremo a dover seguire una serie di missioni (8 in totale) di difficoltà crescente, pensate per espandere ulteriormente il potenziale del vostro personaggio, ma anche per mettervi alla prova. Le missioni sono infatti 8, ma saranno affrontabili con modalità e modificatori diversi, in modo da poter aumentare il livello della sfida, ma anche della potenziale ricompensa, e il tutto seguendo una serie di eventi distaccati dalla campagna principale e originali.
Altro contenuto è, infatti, anche la nuova storia, chiamata “Comunione Oscura”, la quale collega i tre contenuti principali del DLC. In questa nuova serie di missioni saremo mandati tra i vicoli claustrofobici di Carnevale, per indagare su alcuni misteriosi stimolanti che recentemente stanno iniziando a circolare tra la popolazione di Cathedrum, e che potrebbero nascondere qualcosa di ben più pericoloso. In aggiunta a ciò, dal 3 al 27 dicembre avrà luogo un evento speciale chiamato “Urla di Scompiglio!” che, come ben potete immaginare, riguarda proprio la nuova modalità endgame appena introdotta. Completando le missioni in Scompiglio sarà infatti possibile ottenere materiali speciali come il Plastacciaio o la Diamantite che potranno essere investiti nello sblocco di nuovi ed unici elementi cosmetici per il vostro alter ego virtuale.
A suo tempo Darktide era un gioco che ci aveva convinto, ma non troppo (potete recuperare la nostra recensione qui). La ripetitività intrinseca del genere, e i bug onnipresenti e spesso fastidiosi, erano infatti un vero problema al lancio e, a causa anche di un endgame non proprio eclatante, la nostra valutazione non era stata molto alta. Premesso questo, sono passati ben due anni, e grazie ai contenuti aggiuntivi e ai fix ora la situazione è ben diversa. Attenzione però, perché alcuni elementi del gameplay restano inalterati e, nel caso ve lo foste dimenticati, Darktide è e resta un gioco basato sulla cooperazione di squadra e quindi non guarda di buon occhio i lupi solitari. Avrete già capito più o meno dove vogliamo andare a parare, Grim Protocols è un contenuto incredibilmente valido, uno di quelli che dimostra quanto Fatshark abbia a cuore questa IP, cionondimeno non stravolge il gameplay del titolo, mirando piuttosto a migliorare l’esperienza di gioco offrendo maggiore varietà. Fino a questo punto effettivamente Grim Protocols mantiene le aspettative e, oltre a fornire effettivamente del nuovo contenuto end game agli appassionati, aggiunge anche un bel po’ di longevità a lungo termine tramite gli eventi, e di quality of life grazie alle migliorie fatte al netcode e al matchmaking [unico elemento che non siamo riusciti a provare avendo effettuato il nostro test su dei server dedicati e separati dagli altri giocatori N.d.R.]. Il gioco ora è decisamente più stabile, e in questi giorni di test non abbiamo incontrato più i bug che spesso ci facevano finire in modo rocambolesco out of bound (fuori mappa), o addirittura ci facevano crashare, facendoci così perdere progressi e ricompense. Persino l’ottimizzazione e la pulizia globale in questa nuova versione, sono stati migliorati notevolmente, permettendoci di giocare senza problemi persino abilitando il Ray Tracing. Insomma, grazie al tempo, alle patch e gli ultimi contenuti, Grim Protocols è a tutti gli effetti la miglior versione giocabile di Darktide, ma questo non dissipa del tutto alcuni dubbi che ancora ci restano.
La formula di gioco, come detto, anche a dispetto dei nuovi contenuti e modalità, non cambia radicalmente e, complice una difficoltà tarata verso l’alto, rende ben poco appetibile il gioco a chi non ha un gruppo con cui affrontare l’oscurità di Darktide. Il matchmaking, infatti, che dovrebbe permettere di aggirare questo scoglio, è spesso invece del tutto inutile, e porta i giocatori a non cooperare in modo efficacie, rendendo le missioni molto più ardue del necessario. Vero che esistono i bot in casi disperati, intelligenze artificiali che affiancheranno il giocatore in caso non vengano trovati altri giocatori umani, ma anche così, essendo la qualità di questi ultimi abbastanza bassa, le sfide risultano molto più difficili di quanto non siano poi in realtà. Purtroppo, o per fortuna, Darktide richiede una buona coordinazione nel gruppo di gioco, preferibilmente tramite tag in game e chat vocale, ma siccome questo non è sempre realtà, l’esito delle missioni è spesso altalenante. Per concludere, pur vero che ora il materiale aggiunto per l’endgame è sia qualitativamente che quantitativamente più corposo, ma questo non cambia la natura del game loop il quale, prima o poi, dovrà fare i conti inevitabilmente con il fattore noia.
Grim Protocols è un ottimo DLC, uno di quei contenuti che riesce a prolungare la vita di un titolo che, a due anni dal suo lancio, sicuramente risente del fattore tempo. Il contenuto endgame, le migliorie ed i fix, i nuovi oggetti cosmetici e persino gli eventi, sono tutte aggiunte più che gradite che ci sono piaciute molto, e che dimostrano la dedizione di Fatshark in questo progetto. Purtroppo, gran parte del game loop di gioco resta invariato e questo, per quanto comprensibile, porta il gioco ad aumentare la sua longevità, ma solo fino ad un certo punto.
Detto questo, se il genere è di vostro gradimento, questa versione del gioco non soffre delle debolezze riscontrate dal titolo al day one, avendo ora molto più contenuto di fine gioco e risolvendo gran parte dei problemi e dei bug riscontrati in fase di recensione. Se siete dei fan di Darktide, dunque, questa è la vostra occasione per ritornare sul gioco e sperimentare qualcosa di nuovo, mentre se siete dei giocatori che ancora non si sono avvicinati, beh, questo è il momento giusto per dargli un’occasione.
Bentornati, ragazzi e ragazze della Tribù, sulle nostre pagine per la recensione di Infinity Nikki, un'avventura cozy open world sviluppata e pubblicata da Papergames e Infold Games. Questo particolare titolo ci ha interessato per le sue meccaniche uniche e legate all'ambiente degli stilisti e della moda. In Infinity Nikki, infatti, ci troviamo ad interpretare Nikki, una ragazza catapultata in un mondo magico dove i vestiti offrono poteri a chi li indossa, dalla possibilità di levitare a quella di purificare i nemici.
Il gioco si presenta quindi come un'esperienza quasi sandbox che vuole lasciare ai giocatori la possibilità di muoversi liberamente nel mondo di gioco e di esplorarne ogni angolo alla ricerca di segreti e personaggi alquanto eccentrici, il tutto con una trama di fondo che dà l'idea di essere intrigante.
Infinity Nikki sarà riuscito a soddisfare queste aspettative?
Prima di iniziare con la parte più corposa di questa recensione, vi informo del fatto che il titolo ha una lunga durata grazie anche a tutte le funzioni multigiocatore, delle quali parleremo più avanti, e che è disponibile anche in lingua italiana per i testi, mentre il doppiaggio è presente solo in inglese, giapponese e cinese.
Ora, dunque, vi lascio alla recensione di Infinity Nikki!
In questa avventura targata Infold Games, come detto in precedenza, vestiamo i panni di Nikki, una ragazza che sta per diventare una stilista ufficiale e che si sta preparando per presenziare al suo ballo di laurea. Mentre è in una soffitta con Momo, il suo piccolo e morbido compagno, Nikki trova un vestito lasciato da sua madre, che la chiama a sé come se avesse una propria personalità.
Dopo una veloce scena nella quale la nostra protagonista viene costretta dal vestito a ballare, Momo e Nikki vengono catapultati in un portale che li conduce in un mondo alternativo che sembra essere pregno di magia.
In questo luogo, dopo aver notato che il vestito permette a Nikki di utilizzare poteri come la levitazione e la purificazione, una donna bendata li informa che sono giunti a Mirabilis, un regno intriso di fantasia in cui vivono figure che a tutti gli effetti rappresentano gli avventurieri di questo mondo: gli Stilisti.
In seguito a questa conversazione, il luogo dove si trovano viene preso d'assalto dai Bramosi, i nemici corrotti che espandono l'oscurità. In questa situazione di pericolo estremo, la donna bendata forza Nikki ad accettare un oggetto particolare e dal potere immenso, il Cuore dell'Infinito, che diventa parte della nostra eroina, e manda entrambi i protagonisti in un'altra parte del mondo, annunciando a Nikki che dovrà cercare, con l'aiuto del Cuore, il completo Mirabilia, così da salvare il regno dall'oscurità che si fa strada per le sue lande. Una volta risvegliatasi al fianco di Momo, Nikki inizia la sua ricerca, durante la quale incontrerà vari personaggi unici e particolari che, in cambio del suo aiuto, la porteranno sempre più vicina a svelare i misteri alla base del mondo stesso.
La trama, come detto prima, è molto intrigante e riesce a catturare il giocatore sin dai primi momenti, merito anche delle ottime animazioni e dell'eccellente doppiaggio. Ci siamo ritrovati spesso a domandarci cosa stesse succedendo in questo reame, per poi ottenere risposte soddisfacenti nel corso del nostro viaggio. Per quanto non sia una trama piena di colpi di scena e di svolte inaspettate, la storia di Infinity Nikki riesce a catturare l'attenzione e risulta come un aspetto di fondo alquanto presente, capace di supportare gli altri al meglio.
In Infinity Nikki c'è una regola fondamentale: il potere e le capacità vengono dalla qualità dei vestiti indossati e dalla capacità di utilizzo degli Stilisti. Nikki è un esempio particolare, in quanto viene immediatamente riconosciuta come una ragazza dal grande talento per la mansione; da subito infatti inizia ad accumulare set di vestiti che offrono diverse capacità, come la possibilità di attaccare i nemici corrotti dall'oscurità che affligge queste terre o di spazzolare mici e catturare Cibapi [delle strane api ciccione N.d.R.] per ottenere materiali di creazione che permettono di realizzare nuovi vestiti. Questi ultimi, però, possono essere realizzati solamente se sbloccati nel Cuore dell'Infinito, che funge da catalogo; ci sono vari modi per farlo: alcuni si ottengono per trama, altri per missioni secondarie, altri ancora con semplici dialoghi con alcuni personaggi terziari, o infine attraverso sfide speciali alle quali si accede da portali e altri dalle funzioni multigiocatore.
Insomma, questo titolo si basa sull'esplorazione e sulla creazione, due meccaniche legate a doppio filo tra loro: dalla prima possiamo ottenere materiali, incontrare nuovi personaggi e scoprire nuovi vestiti, mentre dalla seconda otterremo nuovi poteri e possibilità di gioco che a loro volta aumenteranno il grado di esplorazione.
Già così Infinity Nikki mostra un gameplay divertente e ben costruito, ma non è che l'inizio di ciò che questo gioco offre: esso mette a disposizione dei giocatori vari sistemi diversi, dal già menzionato combattimento alla pesca, fino ad arrivare alle funzioni multigiocatore, con le quali possiamo ottenere schemi di vestiti da creare tramite quelle che sono sostanzialmente loot box o potendo metterci in contatto con Reami creati da altri giocatori, luoghi separati dal mondo principale che permettono un'interazione online senza che avvengano modifiche effettive nel mondo di gioco base.
Non solo, il titolo offre anche ricompense per i login giornalieri e per vari obiettivi raggiungibili nel gameplay, come la creazione di una certa quantità di vestiti o la purificazione di un certo numero di nemici.
In definitiva, la libertà offerta da questo titolo, che si espande ulteriormente una volta che si avanza nella trama [e della cui espansione non parleremo per evitare spoiler N.d.R.], rende l'esperienza di gioco estremamente piacevole e rilassante, esattamente come gli sviluppatori volevano che fosse. Giocare per delle ore, semplicemente girando per questo mondo vivace e pieno di colori, riesce a far passare il tempo velocemente e gradevolmente, riuscendo a mantenere il giocatore incollato allo schermo grazie alle tante e molteplici meccaniche disponibili.
Un gameplay decisamente promosso, che potrebbe migliorare solamente nella gestione dei comandi, che a volte risultano scomodi e legnosi, frustranti in certe situazioni di parkour nelle quali anche un centimetro di troppo potrebbe mandare all'aria tutto lo sforzo fatto fino a quel momento.
Infinity Nikki è un gioco che forza il giocatore ad essere online, dato che la partita richiede di entrare in uno dei tre server disponibili, tra quello europeo, americano e asiatico. Sotto questo punto di vista, il titolo è ottimizzato in maniera eccellente, con pochissime occasioni di lag e permettendo un'entrata rapida nel mondo di gioco. Inoltre, anche dal punto di vista di framerate e prestazioni si difende benissimo, offrendo molte opzioni per la personalizzazione dell'esperienza che permettono di far funzionare il gioco anche su computer meno performanti.
L'unico lato negativo dell'aspetto tecnico è la necessità di scaricare un launcher esterno, poiché il titolo non è ancora presente per Epic o altre piattaforme. Questo fa sì che in certe occasioni i download di aggiornamenti o del gioco stesso nel corso della prima installazione risultino più lenti di quanto potrebbero essere, dando l'idea di non riuscire a sfruttare a pieno la connessione internet di turno [personalmente utilizzo una rete domestica Fastweb con fibra che usualmente mi concede download ad alte velocità, ma non in questo caso N.d.R.].
Per quanto riguarda la grafica e le animazioni, entrambe centrano in pieno l'obiettivo di supportare il gameplay, con una grafica cartoon dai colori estremamente vivaci e dal dettaglio eccellente, capaci di regalare viste mozzafiato in alcuni punti della mappa, solitamente sopraelevati. Le animazioni riescono a risultare realistiche e naturali, conferendo ad ogni personaggio un personale linguaggio del corpo che aiuta a distinguerlo dagli altri.
Infine, il sonoro si presenta ottimamente, con un doppiaggio in inglese pieno di emozione e estremamente professionale, oltre ad una colonna sonora eccellente e dai toni sempre perfetti.
Il gioco realizzato da Infold Games riesce a trasmettere la sensazione di tranquillità e relax tipica dei titoli del genere cozy, ma allo stesso tempo offre un'ampia esplorazione tipica solo di giochi fantasy RPG o di MMORPG, presentando al giocatore una miriade di località e eventi nascosti.
Infinity Nikki è un titolo che riesce a soddisfare le aspettative e che vuole approcciarsi a quei fan dei giochi rilassanti, senza lasciare indietro chi invece cerca una certa sfida e il brivido del crafting dato dal riuscire ad ottenere materiali estremamente rari o pericolosi da recuperare. Decisamente promosso e consigliato a chiunque voglia passare dei giorni tranquilli in un mondo di fantasia estremamente eccentrico e colorato.
Il codice per PC ci è stato offerto dall'agenzia di PR.
Ben ritrovati ragazzi in questa nuova recensione. Oggi vi parlerò di Call of Duty: Black Ops 6 e vi dico fin da subito che questo titolo ridefinisce gli standard della celebre serie di sparatutto in prima persona. Treyarch, il team di sviluppo principale, ha avuto quattro anni per lavorare a questo capitolo, e il risultato è evidente: un’esperienza rifinita e innovativa, che combina gameplay, narrazione e sistemi creativi in un mix straordinario. Ma ora bando alle ciance e buona lettura.
Il gioco è stato rilasciato con 12 mappe multiplayer “Core”, 4 mappe più piccole “Strike”, 2 mappe Zombi e una campagna di spionaggio ambientata nei primi anni ’90. Ogni modalità è curata nei minimi dettagli: il multiplayer introduce il sistema “omni-movement”, che rende il gameplay ancora più fluido e dinamico; la modalità Zombi ritorna alle origini, offrendo ore di divertimento con amici; infine, la campagna propone una trama intrigante, con personaggi iconici e missioni che spaziano da infiltrazioni furtive a epiche battaglie surreali.
Ambientato dopo gli eventi di Cold War e come sequel di Black Ops e Black Ops II, Black Ops 6 riporta in scena volti noti come Adler e Frank Woods, accanto a nuovi personaggi come Troy Marshall. La storia, che ruota intorno a un'organizzazione segreta chiamata Pantheon, offre missioni varie, da esplorazioni a momenti più lineari e cinematografici. La campagna brilla per originalità: tra viaggi psichedelici, mappe interattive e armi uniche come il rampino [che avremmo adorato vedere anche nel multiplayer N.d.R.], l’esperienza è immersiva e memorabile.
Il sistema di movimento omni-movement rappresenta una vera rivoluzione per il multiplayer, rendendo le sparatorie fluide e imprevedibili. Il design delle mappe, tra cui spiccano Payback e Rewind, supporta alla perfezione le modalità di gioco, offrendo ambienti ben bilanciati per strategie diversificate. La nuova modalità Kill Order, che introduce un obiettivo strategico in stile TDM, aggiunge profondità e varietà all'esperienza. Anche le modalità aggiuntive, come il 6v6 Faceoff e il 2v2 Gunfight, ampliano l'offerta, pur lasciando spazio a miglioramenti con l’aggiunta di nuove mappe.
Con due mappe uniche, Terminus e Liberty Falls, la modalità Zombi offre una sfida appassionante e ricca di misteri. Tornano le dinamiche a round classiche, con nuove funzionalità come il sistema Pack-a-Punch e abilità speciali che permettono una personalizzazione tattica. La varietà visiva e di gameplay tra le mappe, con ambientazioni cupe o luminose, arricchisce l’esperienza, rendendola interessante anche per chi non è un fan accanito degli Zombi.
L’implementazione di un motore di gioco unificato e la collaborazione tra i vari studi di sviluppo hanno permesso di creare un titolo che combina il meglio della serie Call of Duty. Ogni aspetto di Call of Duty: Black Ops 6, dal gameplay al design sonoro, dimostra una cura senza precedenti, confermando il valore del ciclo di sviluppo non annuale/biennale.
In conclusione possiamo dire che Call of Duty: Black Ops 6 è, senza dubbio, uno dei capitoli migliori della serie. Dal gameplay innovativo e la campagna intrigante, fino al multiplayer fluido e ricco di contenuti, il gioco rappresenta un nuovo punto di riferimento per gli FPS militari. Per noi, è il miglior capitolo dai tempi di Black Ops II e Modern Warfare II. Se amate gli sparatutto e cercate un’esperienza completa e coinvolgente, Call of Duty: Black Ops 6 non deluderà. Prepariamoci per mesi di contenuti aggiuntivi e un ciclo di vita che promette di mantenere vivo l’interesse per molto tempo.
Il codice ci è stato fornito dall’agenzia di PR per Xbox Series X.