Il primo trailer di Dragon Age: Inquisition [DA:I] venne mostrato da Electronic Arts [EA] durante l’E3 2013, suscitando emozioni contrastanti, scetticismo e speranza, stupore e timore, fra gli spettatori presenti fisicamente o solo col cuore, ma che tutti in egual misura avevano vissuto il predecessore Dragon Age II [DAII] con amarezza e delusione, quasi un sogno infranto di un’infanzia violata.
I trailer seguenti enfatizzarono solamente tali sensazioni; molti presero posizione a priori, altrettanti, me compresa, non vollero pendere ne’ in una direzione ne’ nell’altra. Ciò che si mostrava appariva innegabilmente ispirato, così tanto “Dragon Age”… ma l’ombra della delusione rimaneva minacciosa nelle menti, era lì ad un passo, e dunque si tentennava, si aspettava.
Così tanti personaggi, e le ambientazioni, vaste, dettagliate… gli scontri… il ritorno di personaggi dei precedenti titoli… Morrigan, finalmente tornata dopo essere scomparsa senza traccia dentro un Eluvian… e quel titolo, “Inquisition”, se si lasciava correre l’immaginazione, non si poteva non far immaginare le cose più epiche.
Eppure sembrava tutto troppo bello per essere vero… Eserciti, demoni, draghi, il tutto in salsa Bioware: il piatto vincente? La ricetta che avrebbe risollevato la saga da un oblio di mediocrità a cui i fan l’avevano condannata?
La trama di DA:I lacera il velo (letteralmente, la battuta non era voluta, chiedo venia) su quello che effettivamente è la storia di DAII: una parentesi interessante e ben scritta (si parla della storia, non del gameplay), ma pressocché irrilevante per quella che è la macrostoria del Thedas.
La vera forza della saga di Dragon Age, difatti, è che il vero protagonista non è il personaggio creato per giocare, bensì il periodo storico, gli eventi, il mondo che ci circonda. Noi siamo solo comparse, e non può stupire che l’eroe di un titolo muoia, o venga dimenticato, o condannato in seguito per le sue azioni: la storia, la vita, la realtà dell’Era del Drago vanno avanti, con o senza gli eroi che incarniamo, e ciò è la prova che le basi su cui poggiano gli avvenimenti sono curate e molto, molto solide, potenzialmente resistenti ad un precoce invecchiamento, come invece potrebbe accadere a qualsiasi altra serie/saga videoludica in cui il protagonista è sempre lo stesso, immutato nel corpo e nel carattere (qualcuno ha detto Final Fantasy XIII?).
Ad ogni modo, qui tratterò solo il preambolo e l’incipit degli avvenimenti narrati durante il gioco per evitare spoiler e non dilungarmi troppo a causa della vastità delle informazioni disponibili.
Le vicende narrate si svolgono ancora una volta nel Thedas, un grande continente in subbuglio a causa dell’incessante scontro fra maghi e templari, con successivo venir meno dei Circoli nel Ferelden, e la lotta intestina per la successione al trono fra l’Imperatrice orlesiana e il cugino, legittimo erede al trono di Orlais; come se non bastasse, si allunga un’ombra inquietante sulle nazioni, si vocifera di una possibile rinascita dell’Inquisizione per riportare l’ordine. La Divina Justinia V, a capo de La Chiesa, prova a parlamentare la pace e convoca il Concilio presso il Tempio delle Sacre Ceneri, luogo di culto al confine fra il Ferelden ed Orlais; gli ambasciatori si presentano, la situazione sembra finalmente aver preso una svolta, quando l’impensabile accade.
Un’esplosione colossale devasta il Tempio, uccidendo all’istante migliaia di persone tra militari, politici, religiosi, pellegrini; come se non bastasse, per motivi (inizialmente) inspiegabili, la deflagrazione, di chiara natura magica, lacera il Velo, unica sottile barriera fra il mondo materiale e quello spirituale, l’Oblio… iniziano letteralmente a piovere demoni nella loro forma originale, la più rara da vedere ed anche la più pericolosa, e… noi.
Anche il nostro protagonista cade fuori dallo squarcio, pur non essendo un demone, svenuto ma apparentemente illeso.
Si risveglierà in una cella, dove inizia, appunto, la nostra interazione nel gioco: la Cercatrice Cassandra Pentaghast, Mano Destra dell’ormai defunta Divina, ci chiede spiegazioni, ci accusa di essere responsabili, indica furiosa il marchio sulla nostra mano sinistra, una cicatrice luminosa che reagisce al Velo lacerato, dimostrando un chiaro collegamento fra noi e quanto è accaduto nel Tempio, causandone la distruzione e l’eccidio dei presenti.
Noi non ricordiamo nulla se non uno strano, confuso sogno, non sappiamo che dire, non siamo convincenti: la Cercatrice perde la pazienza e ci trascina ammanettati fuori dalla cella, ci fa guardare il cielo devastato dallo squarcio, mentre la nostra mano non smette di illuminarsi e far male.
Ci libera appena fuori l’accampamento, ordinandoci di seguirla: vuole avvicinarsi alla fonte del disastro e capire se noi possiamo far cosa per risolvere la situazione: inutile ribattere, il fallimento od il rifiuto porterebbero entrambi alla morte.
Lungo il cammino avverranno attacchi di alcuni demoni (il “tutorial”), ma noi recupereremo fortuitamente un’arma (od un bastone, nel caso fossimo maghi), lei ci ordina di lasciarla, ma subito dopo si rende conto di non essere in grado di difendere entrambi, e non insiste. Poco dopo si incontreranno Varric, una vecchia conoscenza di DAII,e un nuovo acquisto, l’elfo mago Solas, che grazie ad un intuito ed una conoscenza sconfinata dell’Oblio (che solo molto più avanti nella trama troveranno giustificazione), ci “insegna” a sigillare le piccole lacerazioni nel Velo iniziatesi a creare subito dopo la comparsa della maggiore: da quel momento diveniamo, in pratica, l’unica speranza per il Thedas.
In breve, brevissimo, il nostro misterioso potere di cui ignoriamo le origini ci porta ad essere uno strumento chiave per risolvere la situazione: la Mano Destra, Cassandra, e la Mano Sinistra e capospia Leliana, afferrano le redini della situazione, dichiarando ufficialmente la nascita della Nuova Inquisizione, un potere arrogato loro dalla Divina stessa poco prima di morire, e che nessun potere politico o religioso può negare: un’istituzione neutrale, ma con occhi, orecchie e lame ovunque, il cui unico scopo è (dovrebbe) il ritorno dell’ordine e della pace, e che una volta raggiunto questo, dovrà (dovrebbe) volontariamente venir meno; e così il nostro protagonista,, fondamentale per il raggiungimento di questo traguardo, viene coscritto fra i ranghi.
Questo, in breve, l’antefatto del gioco, incentrato chiaramente sulle vicende dell’Inquisizione di cui facciamo parte: il nostro scopo è ottenere potere ed influenza attraverso compiti e missioni, da poi “spendere” per potenziare infrastrutture e risorse e sbloccare le missioni principali (ed in questo caso i limiti fra trama e gameplay si fanno dolorosamente sentire).
La scrittura del titolo è davvero magistrale, sento di averla offesa trattando con superficialità gli soli eventi del prologo/tutorial; si tratta fuor di dubbio del punto finora più alto mai raggiunto dai Dragon Age: vicende politiche ben strutturate, personaggi corposi e multirazziali con caratteri, culture, gusti, background di spessore e mai banali… Il tutto comprendendo nella precedente descrizione anche gli antagonisti, umani (non letteralmente, non tutti lo saranno) e concreti, potenti, ma fallibili, non privi di emozioni e debolezze anche psicologiche.
Ammirabile la scelta di introdurre per la prima volta due personaggi totalmente omosessuali e con cui è anche possibile intraprendere una relazione; scelta che è stata criticata da molti perché ritenuta offensiva nei confronti delle comunità gay (il loro aspetto estetico è effettivamente molto “stereotipato”), ma che a mio avviso è invece un modo per mostrare ai giocatori come l’amore possa esser dolce, sincero e profondo a prescindere da chi abbia cosa fra le gambe: si tratta, non a caso, dei personaggi reclutabili dal carattere più particolare, estroso ed intrigante, e comprendo anche chi li abbia trovati insopportabili, poiché molto estremi nelle loro opinioni e punti di vista, tanto che potranno solamente essere amati od odiati.
Non tratterò le romance in questa recensione, ma vorrei solo metter nero su bianco di come si tratti di certo delle migliori della saga: realistiche, tutte diverse fra loro, mai scontate, sinceramente coinvolgenti, al punto da farmi sentire in colpa, durante la mia seconda run, ad aver “tradito” il mio compagno precedente, scegliendone un altro per il mio secondo protagonista.
Forse solo nel caso di quest’ultimo, ovvero colui che porteremo avanti fra i ranghi dell’inquisizione sino a farlo diventare egli stesso Inquisitore, si può percepire una “carenza” a livello psicologico, dato che le scelte che prenderemo, per quanto all’apparenza potranno essere estreme, condurranno quasi sempre a conclusioni “politically correct”; un limite, appunto, ma di cui comprendo le motivazioni, poiché il personaggio sotto il nostro controllo fa comunque parte (ed in seguito, ne sarà a capo) di un’organizzazione internazionale, che per quanto estrema e super partes, ha come scopo principale il ritorno dell’ordine nel Thedas… diversamente quindi da Hawke (DAII), in cui le limitate scelte di dialogo sono da attribuire a cause esterne al mondo di gioco, ovvero l’inserimento di una narrazione lineare all’interno di un gioco di ruolo con scelte decisionali obbligate, combinazione insolvibile e che ha portato i videogiocatori, nell’ormai lontano 2011, a sentirsi presi in giro.
Se la trama di DA:I è più che degna di un ciclo di romanzi fantasy, lo stesso non può dirsi del gameplay: colpevole di ciò, probabilmente, è stato un tentativo (assai maldestro, va detto) di “ibridare” le meccaniche strategiche di Dragon Age: Origins [DA:O] con l’impronta action introdotta in DAII; l’esito è esteticamente superbo, i combattimenti hanno animazioni molto belle ed i nemici sono vari e tutti molto ben caratterizzati; tuttavia, le meccaniche sono ripetitive e troppo semplicistiche (colpevole anche un’I.A. di nemici ed alleati veramente imbarazzante): completare il gioco a livello di difficoltà Incubo (il più arduo) non induce tensione o preoccupazione, eccezion fatta per la prima metà scarsa di gioco, ma solo perché le azioni a disposizione non sono molte e neppure potenti.
Gli attributi dei compagni sono fotocopie l’uno dell’altro: maghi, ladri, guerrieri, ciascun membro della medesima classe avrà i medesimi valori alle statistiche, punti tralaltro NON assegnabili liberamente dal giocatore, cosa gravissima per un gioco di ruolo come un Dragon Age, e la cui scelta è stata motivata esclusivamente dalla necessità di non rendere i combattimenti, già di per sé semplici, ancora più elementari; unica differenza fra ciascuno è la specializzazione di classe, questa, perlomeno, unica e giustificata/contestualizzata anche nella trama, più la (trascurabilissima) abilità passiva razziale.
Gli skill tree sono piuttosto ridotti, il che non è necessariamente un male (da questo punto di vista, DA:O era molto dispersivo e tante abilità piuttosto superflue, specialmente a livelli alti di difficoltà), ma mentre alcune skill si riveleranno fondamentali ed efficaci in battaglia, altre si percepiranno molto più come esteticamente intriganti, ma quasi inutili all’atto pratico; la differenza si noterà ancora di più non appena sbloccate le specializzazioni, le cui abilità (ma, soprattutto, auto-abilità) saranno veramente il discriminante fra uno scontro di logoramento ed un massacro rapido degli avversari.
Ed ancora: le subquest sono poco incisive, è difficile ricordarle una volta completate; per fortuna, lo stesso non accade con quelle dei membri del party, tutte diverse fra loro, e con epiloghi, frasi, scelte possibili diversi in base a sesso, razza, classe ed eventuale romance in corso col nostro personaggio.
L’equipaggiamento è esteticamente bello, ma poco vario; va giustamente tenuto in considerazione il fatto che quasi ogni armatura avrà un aspetto differente in base al personaggio cui verrà assegnata, ma una varietà maggiore sarebbe stata di certo gradita, pur parlando comunque di “set” di gran lunga migliori a quelli presenti nei primi due Dragon Age, data la cura per i dettagli e le culture e razze differenti si è posta nel differenziare ciò che indossano i nostri alleati, così come i nostri nemici. Purtroppo le armature da noi “craftate” (quindi create da dei materiali grezzi, da zero, ad hoc per un nostro personaggio) non avranno differenze estetiche rispetto a quelle acquistate o recuperate durante l’esplorazione, eccezion fatta, ovviamente, per gli attributi, e per la possibilità di modificarne la colorazione (e gli effetti) in base ai metalli ed ai tessuti impiegati.
Gli accessori, nostro malgrado, sono inutili per una percentuale generosamente superiore all’80% di ciò che recupereremo: si salvano soltanto pochi anelli con effetti specifici su singole abilità ed un paio di amuleti; il resto ha effetti così insignificanti da essere impiegato in maniera migliore come merce da rivendere per l’ottenimento di denaro, la cui valuta si è anche inspiegabilmente mutata interamente in sovrane d’oro, con la scomparsa di pezzi di argento e monete di rame…
La tendenza alla semplificazione (level up, skill tree, combattimenti, equipaggiamenti, sistema monetario…) risulta palese quando si osserva la meccanica scelta per lo svolgimento delle cosiddette “missioni da tavolo”: in quanto facenti parte dei livelli di comando dell’Inquisizione, sarà nostra incombenza decidere le azioni da compiere per concedere o richiedere rifornimenti, garantire supporto politico e/o economico e/o militare, recuperare o eliminare informazioni e/o persone grazie alla nostra rete di spionaggio.
Tutto ciò, che così descritto appare intrigante e ben congegnato, purtroppo non lo è. Difatti, a prescindere dal membro del nostro entourage cui affideremo l’incarico, questo non potrà mai fallire! Ciò è assurdo, sia per trama che per gameplay, dato che azzera la difficoltà tattica ed appiattisce il coinvolgimento del giocatore, il quale non presterà più la medesima attenzione all’attività che compie, dato che raggiungerà comunque il successo.
Anche le cavalcature, la meccanica del salto, l’espansione della fortezza di Skyhold, la stessa implementazione della pausa tattica su console, son tutte idee valide, ma non sviluppate se non ad un livello parecchio embrionale e dal fin troppo ampio margine di miglioramento: difatti, senza proseguire ulteriormente in liste e noiosi elenchi, basti dire che a differenza di trama , storia, e personaggi che ne fanno parte, il gameplay risulta gravato da meccaniche semplicistiche, ripetitive e poco profonde, che ricordano sotto molti aspetti un MMO, causate forse dal tentativo, cui ho già accennato, di rivoluzionare il gameplay per renderlo dinamico ed intuitivo, ma senza riuscire a trovare un punto di equilibrio.
Il sonoro è, insieme alla cura artistica, grafica e visiva, un lavoro di qualità così elevata che quasi stupisce trovarlo in un “semplice” videogioco: le musiche e le canzoni sono ispirate e piacevoli (nonché sincronizzate con il labiale del menestrello che le canta…), gli scorci, la flora (la fauna è un po’ scarna), i paesaggi, le ricostruzioni di interni ed esterni di edifici e rovine, l’aspetto dei villaggi e la loro planimetria, tutto sembra vero, sembra “respirare”, e permette al giocatore di immedesimarsi appieno in ciò che lo circonda, grazie anche ad un doppiaggio eseguito a regola d’arte per ogni singolo dialogo di ogni singolo personaggio con cui potremo avere una conversazione, comprensivo di animazioni sia per le labbra che per la lingua, sguardo rivolto in direzione della persona con cui si conversa (dunque non “fisso” davanti a sé), e dentature differenziate di personaggio in personaggio (mentre giocavo non ho avuto modo e pensiero di contarle, ma ne ho notate sicuramente almeno tre diverse); le sole conversazioni fra compagni (i cosiddetti banters) durante l’esplorazione superano, sommate le cinque ore e mezzo…e non ve n’è una senza lip-sync.
Purtroppo il titolo, per la sua natura cross-gen E multipiattaforma, soffre di un’ottimizzazione scarsa, quando non addirittura assente, con caricamenti molto lunghi (sebbene non frequenti), specialmente su console, anche quelle di attuale generazione, e texture più che dignitose (sarebbero l’equivalente di un settaggio “medio” su PC) ma dal caricamento spesso difficoltoso e talvolta incompleto, e qualche fastidioso pop-up.
Il framerate su console regge durante l’esplorazione, ma precipita nei combattimenti “affollati” e cutscene, arrivando a volte anche a crashare, facendo tornare il giocatore davanti al menu principale della console (su circa 220 ore di gioco, me ne sono capitati quattro); anche su PC i crash non perdonano, sono anzi molto più frequenti, ma lo stesso possiamo dire dei fotogrammi al secondo, sempre fra i 30 ed i 60 in macchine moderne di fascia medio-alta ed alta, sebbene i filmati e le cutscene siano stato inspiegabilmente bloccati a 30 senza possibilità di disattivare l’opzione per motivi che ammetto d’ignorare e non riuscire ad intuire, dato che tale blocco non era presente nei due precedenti Dragon Age.
La versione PC l’ho solo vista giocata per una ventina di ore, mentre la versione da me completata è quella per console Playstation 4; personalmente non ho riscontrato bug rilevanti o che mi abbiano impedito di proseguire il gioco (siamo ben lontani da Skyrim 1.0!), anche se si nota una certa incuria in dettagli di programmazione piuttosto banali, come, ad esempio, il ripristino integrale dei loot di oggetti multipli, anche nel caso siano unici, dopo due caricamenti di macroaree, nel caso in cui non venissero raccolti per intero.
Tengo a dire che ho completato ed analizzato il gioco prima del rilascio della seconda patch, ragion per cui è anche possibile (spero) che molti errori non siano più presenti nella versione aggiornata del gioco.
La longevità di DA:I è forse l’argomento di discussione più controverso e su cui meno gente riesce a trovarsi d’accordo; se considerassimo solo le missioni principali, ovvero quelle strettamente necessarie per proseguire il gioco sino alla conclusione, si attesterebbe in effetti ben sotto la media di un gioco di ruolo “canonico”; tuttavia, sin dal livello di difficoltà standard, è molto, molto difficile proseguire lungo la trama senza fare alcuna quest esplorativa e secondaria, dato che verrebbero meno i fondi ed i materiali per potenziare gli equipaggiamenti dei nostri personaggi, così come i “punti potere” per sbloccare le main quest.
La mia stima, basata su tre run, al livello di difficoltà variabile fra Normale ed Incubo, è che per completare il gioco senza puntare al perfezionismo, ma esplorando ogni singola area sbloccabile pur senza completarle oltre il 60-65%, il tempo di gioco non scenda sotto le 50-60 ore, e superi abbondantemente il centinaio e mezzo nel caso in cui si volesse raccogliere tutti i numerosi collezionabili sparsi in tutto il continente, sconfiggere i dieci draghi, ed ottenere armature ed armi uniche o molto rare all’interno dei dungeon.
Bisogna anche far presente che il titolo è altamente rigiocabile, data la possibilità di scegliere le origini del nostro protagonista fra ben quattro razze di ambo i sessi e tre classi (due per i nani, che non potranno esser maghi), la cui combinazione porta a dozzine e dozzine di opzioni di dialogo, scelte, conversazioni esclusive per specifiche razze e/o classi, senza dimenticare le numerose romance, ben otto, una più bella e speciale dell’altra.
Un encomio (ed ulteriore spinta alla rigiocabilità del titolo), infine, va all’applicazione del Dragon Age Keep, che consente, registrandosi con il proprio account di accesso ai server EA, la modifica, ad inizio di una nuova partita, dello “Stato del Mondo” di gioco, permettendo quindi di personalizzare ulteriormente la propria esperienza con la scelta manuale dei fatti avvenuti e delle scelte compiute da L’Eroe del Ferelden e da Hakwe in, rispettivamente, DA:O e DAII… scelte che avranno ripercussioni, alcune anche piuttosto evidenti, sulla storia che si andrà a vivere con il terzo capitolo della saga.
In conclusione, credo che DA:I non sia un titolo per tutti. Se dovessi giudicarlo per il puro lato tecnico e di gameplay, lo definirei di certo un GDR abbastanza mediocre, a maggior ragione nel caso in cui ignorassi i fatti antecedenti a quelli presentati durante il gioco, cui si fanno continui riferimenti.
Eppure la magia del videogioco è quella di essere tecnica, ma anche arte; e l’incredibile, quasi maniacale cura per i dettagli storici, ambientali e psicologici di personaggi, culture e avvenimenti, come la presenza di un ricchissimo codex, consultabile in qualsiasi momento durante la partita…un simile livello di attenzione ed amore per la propria creazione non si era raggiunto nemmeno con l’osannatissimo (ed a ragione) DA:O; riesce quindi, infine, a farsi perdonare concrete manchevolezze che difficilmente farebbero passare la sufficienza ad un titolo “qualsiasi”, privo di “tutto il resto”… ed a tal riguardo, i The Elder’s Scrolls insegnano.
Pongo piena fiducia in questa neonata saga, confidando che il prossimo titolo possa correggere il tiro su certi aspetti, pur mantenendo, e sviluppando, il valore artistico e concettuale, presente in ogni Dragon Age.
Il potenziale è stato sfruttato in una minima parte, e solo il tempo saprà dirci se Dragon Age: Inquisition sarà riuscito a sancire l’inizio della rinascita.