La stagione NBA sta finalmente entrando nel vivo nella bolla di Orlando, con le semifinali di Conference dopo mesi praticamente folli in un anno che definire disastroso è dir poco. Quello che stiamo approcciando è un periodo di transizione in cui i giochi in uscita sono sicuramente influenzati da quello che succederà a novembre, quando si entrerà ufficialmente nella nuova generazione, perlomeno quella targata Microsoft. 2K si è creata negli anni il suo seguito e ha sbaragliato la concorrenza di EA che ha tentato in tutti i modi di riportare in vita il brand NBA Live andando più volte, però, a scontrarsi contro la corazzata targata Visual Concepts. Quello a cui ci troviamo davanti, tuttavia, è un titolo che possiamo definire di transizione dopo vari anni in cui – seppur buonissimi – c’è stato un vistosissimo calo, forse derivante proprio dall’assenza di un vero e proprio competitor. Abbiamo allacciato le scarpe da gioco e acceso la nostra Xbox One per portarvi nel mondo della palla a spicchi con la recensione della versione current gen (presto old) di NBA 2K21.
Come ogni anno la parte prepotente dell’offerta ludica se la prende la modalità Carriera che, anche quest’anno, risplende di luce propria e ci racconta una storia particolare. In “The Long Shadow”, titolo di questa carriera, ci metteremo nei panni di Junior, figlio di una promessa del basket che, però, si è scontrato con il mondo del college senza riuscire a fare il grande salto in NBA, finendo per essere un eterno incompiuto. Junior, al contrario di suo padre, si impegnerà e riuscirà a sfondare tanto quanto basta per ottenere un contratto con una squadra della massima lega e da lì la strada sarà in discesa. Prima di arrivare al draft, però, sarà necessario affrontare alcune delle tappe fondamentali per la storia di Junior, come le scuole superiori dove il suo gioco inizierà a splendere e verrà notato da alcuni amici (o presunti tali) di suo padre che gli daranno consigli su consigli per sfondare. È dall’arrivo al college che sarà necessario il nostro aiuto per permettergli di mettersi in buona luce e far colpo sugli osservatori per il prossimo Draft NBA. Al gioco verranno intervallati momenti di storia in cui Junior conoscerà la pressione di essere figlio di un’eterna promessa e, soprattutto, cosa voglia dire essere famoso con alcuni flirt che faranno da sfondo all’intera storia. Come nel passato, per il racconto di questa avventura sono stati chiamati personaggi famosi come Michael K. Williams (The Wire), Djimon Hounsou (Blood Diamond), Jesse Williams (famoso per Grey’s Anatomy) e Mireille Enos (The Killing). Seppur non toccando le vette raggiunte in passato (sopratutto con NBA 2K16), la storia raccontata in questo capitolo è ottima e rimane una delle migliori storie raccontate in ambito di videogiochi sportivi.
L’arrivo in NBA apre le porte anche al Quartiere; proprio come nei capitoli precedenti, infatti, si arriverà al punto di poter giocare insieme ad altri giocatori (che metteranno in campo le loro versioni di Junior) con la 2K Beach in incontri 3 vs 3 o 5 vs 5. Legato al Quartiere, purtroppo, c’è uno dei problemi storici della saga: la virtual currency. Per migliorare il proprio giocatore, infatti, sarà necessario spendere la moneta in game che non è di facile acquisizione a meno di manie di shopping compulsivo e tanti soldi (reali) da investire in un videogioco. È quindi facile trovare gente dal portafogli lungo che ha deciso di spendere per poter portare il proprio giocatore al massimo delle statistiche e dominare la scena. Inoltre la VC è anche necessaria per acquistare i pacchetti nella modalità My Team (di cui parleremo tra poco), obbligando quindi l’utente a decidere su quale modalità spenderla proprio nel caso non si voglia acquistare. Purtroppo il trend di 2K è largamente improntato sull’orma delle microtransazioni ed è difficile tornare indietro visto che il modello, a quanto pare, tende a funzionare, ma è largamente criticato dai giocatori di tutto il mondo. Sarà quindi necessario vedere come si comporterà in futuro la compagnia e se il pubblico sarà ancora pronto a spendere i propri risparmi in moneta in game oppure se sarà necessario virare su una differente soluzione.
Oltre alla Carriera e l’intera esperienza con Junior, in NBA 2k21 potremo contare sulle classiche modalità presenti in NBA 2K da anni a questa parte. Si va dalla semplice partita veloce a interi campionati con Team NBA (anche WNBA) nella modalità My League [La Mia Lega in italiano N.d.H.] o una sorta di modalità carriera con la My GM, in cui ci metteremo nei panni di un manager che dovrà gestire ogni aspetto derivante dalla franchigia scelta. Queste modalità non hanno avuto particolari cambiamenti, anzi, possiamo dire anche nulli e rimangono proprio come visto lo scorso anno con la stessa impostazione grafica e legnosità in alcuni dei menù. Uno dei problemi più grandi è proprio questo, il non aver lavorato per la gestione dei menù che risultano molto pesanti alla lettura per chi non è abituato a ogni singola voce presente e i lunghi tempi di caricamento delle varie cutscene [ricordiamo che abbiamo recensito il titolo in versione Xbox One non potendo, però, contare su una One X ma solamente del primo modello uscito N.d.H.] non aiutano di certo l’intera situazione.
Alcune variazioni in NBA 2k21, invece, sono state fatte per il My Team, la modalità che va a ricalcare il grande lavoro fatto da EA con il FUT. Qui infatti dovremo costruire la squadra dei nostri sogni acquistando i pacchetti con i crediti in game, torniamo al discorso dei soldi da spendere insomma, e andando a metterli insieme sul campo da gioco. 2K ha deciso di prender proprio spunto a piene mani dal lavoro effettuato dalla concorrenza sul titolo calcistico di punta per cercare di sistemare alcuni dei problemi riscontrati lo scorso anno e ha deciso di introdurre degli eventi e competizioni a periodi per rendere più appassionante e varia l’offerta proposta. Le modifiche sono state totalmente azzeccate e in futuro – in caso di rework anche del funzionamento dei VC – ci potremmo trovare di fronte a una delle colonne portanti dei prossimi capitoli dei titoli 2K.
Ora arriviamo a quello che è un po’ il tasto dolente di questo NBA 2K21. La serie Visual Concepts è stata da sempre un punto di riferimento per i fan della palla a spicchi proprio grazie al suo gameplay sempre frenetico, ma, allo stesso tempo, realistico tanto da far appassionare gli spettatori. Ovviamente quando qualcosa funziona non dovresti rivoluzionarla, ma modificare quel poco che non funziona o rendere il tutto magari meno macchinoso e più dinamico. Quello fatto da Visual Concepts, invece, è stato meno funzionale e ha deciso di ribaltare totalmente una delle meccaniche che più funzionavano seppur non del tutto realistiche: il tiro. Quello che è stato fatto, infatti, è aver totalmente modificato il fondamentale delegando il tutto all’uso della levetta destra (andando così a punire chi utilizza il tasto Quadrato/X su Xbox) per prendere la mira in una mezza luna che compare non appena viene indicata la volontà di effettuare il tiro. Il sistema va quindi a premiare la mira piuttosto che il tempismo del rilascio (come in passato) rendendo il tutto più complicato e peggiorando l’intera situazione. Nel corso delle nostre partite abbiamo cercato di variare spesso la soluzione e tentato anche di utilizzare i tasti frontali invece della levetta analogica, andando a complicarci inutilmente la vita. Dimenticate quindi i tiri da 30 metri messi dentro con Steph Curry semplicemente rilasciando in tempo il tasto, ma anche lo staccare un attimo la testa e sottovalutare l’esecuzione anche in caso di campo totalmente libero con uno dei migliori tiratori dell’intera lega. Questa nuova meccanica ha bisogno di tempo per essere assimilata dai veterani della serie, però le proteste sono state talmente vibranti da costringere Visual Concept a rilasciare una patch per aggiustare e ammorbidire questa nuova meccanica almeno per le difficoltà più basse.
Quello che invece è stato ritoccato, ma in meglio, in NBA 2k21 è stato il resto del gameplay che non si discosta poi molto dalla scorsa iterazione, ma vede alcune migliorie per quanto riguarda il sistema di dribbling che utilizza la sempreverde levetta destra per garantire una nuova e quasi mai sentita fluidità in campo. Migliorata anche l’intelligenza artificiale in alcune situazioni particolari, andando così a semplificare il lavoro sul campo visto che ora i giocatori andranno a cercare sempre più spaziature e a cercare spesso i missmatch favorevoli grazie a vari blocchi che vengono effettuati in maniera automatica dalla CPU.
Quello che ci siamo trovati davanti in sede di recensione è un titolo che è stato largamente influenzato dall’arrivo della nuova generazione e che quindi va visto proprio in quest’ottica. Non abbiamo parlato in maniera approfondita del lato tecnico in quanto dovremmo riciclare le stesse parole di 365 giorni fa in attesa di poter metter mano (e recensire) la versione next gen del titolo targato Visual Concepts. Per lo stesso motivo le parole spese sul lato gameplay sono state solamente per l’unico vero grande cambiamento di questa versione e ciò che c’è da dire è veramente poco. Quello che aspettiamo sarà proprio il salto generazionale che dovrà per forza dare un senso a una versione quasi copia incolla di NBA 2K20, con alcuni cambiamenti basati proprio sulla necessità di concentrarsi sulle versioni nuove. In attesa di novembre ci sentiamo di promuovere quindi NBA 2K21 in quanto è il miglior gioco di basket presente sul mercato (anche se è l’unico al momento) e il modo migliore per chiudere una generazione che, dal puro lato cestistico, ci ha regalato uno dei salti più incredibili che abbiamo potuto constatare negli ultimi anni, con livelli di realismo raggiunti da Visual Concepts che nulla hanno da invidiare a ciò che vediamo ogni giorno oggi in TV.
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