L’horror è un’arte senza tempo, basti pensare che sono anni che gli appassionati cercano di trovare un brivido che ormai non sentono più da molto. Nei videogiochi, l’horror è stato spesso utilizzato per creare un senso d’ansia nel giocatore, quanto meno in passato. Negli ultimi tempi il genere si è adeguato ai canoni cinematografici, con il senso di ansietà molto alleviato e con un grande focus sui jumpscare o sulle ambientazioni classiche. Supermassive Games ha sviluppato, nel corso degli ultimi anni, due titoli facenti parte di un’antologia contenente ben 8 giochi. Di Man of Medan non abbiamo avuto modo di parlare in passato, per quello quando ci siamo avvicinati a Little Hope un po’ di terrore c’era, il ricordo di Until Dawn è ancora vivido nei nostri occhi e, seppur il gioco abbia mostrato un’ottima qualità, alcuni dubbi sono sorti a causa di una trama partita benissimo e proseguita con l’ennesima svolta soprannaturale. Approcciamo Little Hope nella giornata di Halloween con un senso di stupore e ansia per questo lavoro, abbiamo spento tutte le luci, messo le nostre cuffie di fiducia e ci siamo buttati a capofitto nella nuova avventura di Supermassive. Scoprite di più nella nostra recensione di The Dark Picture Anthology: Little Hope.
Parlare della trama in un gioco dove questa è l’elemento fondamentale non è mai facile, proprio per questo faremo una semplice introduzione senza pesantissimi spoiler. In Little Hope avremo a che fare con 4 studenti e il loro docente che si ritrovano a dover vagare per i dintorni della città a seguito di un incidente stradale e la sparizione del loro autista. Il viaggio compiuto dai 5, però, viene ostacolato spesso e volentieri da una maledizione che circonda il posto che li fa vivere una storia del posto, famoso per essere – insieme a Salem – il luogo dove venne compiuta la più grossa caccia alle streghe della storia. Intorno al 1692, infatti, iniziarono i più grandi processi alle streghe, andando ad aprire uno dei periodi più bui della storia statunitense dove morirono molte persone a causa di accuse – spesso ingiuste e prive di ogni senso logico – di praticare magia nera e invocare il demonio. Supermassive ha cercato quindi di dare una propria interpretazione del fenomeno andando a prender molta ispirazione dalla leggenda, ma aggiungendoci del proprio, proponendo un prodotto ben fatto, ma lontano dai livelli della prima metà di Until Dawn.
La storia, seppur sia scritta bene, non spicca per brillantezza o originalità, andando a puntare essenzialmente sullo jumpscare per spaventare senza riuscire in toto nell’obiettivo, in quanto questi sono chiaramente intuibili grazie alla musica o ai classici clichè del genere. Andare a esplorare i dintorni di Little Hope aiuta di certo ad avere il quadro completo della situazione anche se, in realtà, alcune cose rimangono totalmente casuali e non spiegate del tutto. Mancano quindi alcuni punti che vanno a collegare i due fili temporali (quello presente e quello passato) e, seppur abbiamo provato a completare più run, rimangono alcuni buchi che non sono stati proprio considerati dagli sviluppatori. Viene fatta intendere la maledizione imposta sulla cittadina, ma non viene mai spiegata, così come l’incredibile finale – totalmente non apprezzato dal sottoscritto – viene lanciato a caso e senza fornire un’adeguata spiegazione su quello che si è visto a schermo e lasciando al giocatore libera interpretazione degli eventi.
Little Hope, proprio come Until Dawn, è un’avventura in cui il destino dei personaggi è nelle mani del giocatore che dovrà impegnarsi per portarli tutti al finale sani e salvi. Ogni run non sarà del tutto uguale alla precedente e basterà cambiare una sola risposta per variare tutta una serie di condizioni e cambiare completamente la run. Questa imprevedibilità si tramuta, ovviamente, in una serie di QTE da affrontare in alcune situazioni d’azione, dove anche un singolo errore può andare a compromettere la salute di uno dei protagonisti.
A volte saremo messi davanti a delle scelte che andranno a influire sui rapporti tra di loro, anche questo uno degli ennesimi elementi da tenere in considerazione durante il gameplay. Durante i dialoghi, invece, potremo decidere se effettuare una decisione d’istinto (utilizzando quindi il proprio cuore) o se pensarci su e usare il cervello pensando bene a cosa voler esprimere. Questo determinerà le caratteristiche mentali dei vari protagonisti che influiranno sulla loro reazione di fronte a certi avvenimenti e le loro capacità mentali, anche qui la personalizzazione è praticamente infinita e sarà davvero impossibile ripercorrere perfettamente la partita precedente: basta saltare anche solo un dialogo secondario per avere reazioni diverse a delle situazioni e, magari, andare a compromettere la sorte di quella particolare persona nel corso della propria partita.
Supermassive, però, ha capito che negli anni passati i giocatori venivano spesso confusi dagli elementi a schermo e con Little Hope ha deciso di includere alcuni piccoli accorgimenti in grado di aumentare proprio la QoL dell’intera opera. Parliamo di cose minori, ma in grado di aiutare il giocatore, come la miglioria ai QTE. In questo caso a schermo comparirà la tipologia di azione che andremo a compiere e la posizione dell’indicatore farà capire al giocatore il pulsante che dovrà premere; in alcune sezioni però questo sarà volutamente inserito a metà tra due posizioni per mantenere quel brivido di incertezza. Comparirà Quadrato o Triangolo? A o B? Si avrà poco tempo per decidere, tuttavia avere una piccola indicazione a schermo potrà aiutare anche il giocatore non totalmente avvezzo all’uso del pad, ma che vuole divertirsi con un gioco che fa della narrativa il suo punto forte. Un altro piccolo accorgimento è la possibilità di vedere sia tutte le possibili interazioni, grazie a un segnale luminoso, che le azioni da poter svolgere in quel preciso momento così da capire se si sta abbandonando un’area oppure se quell’oggetto è possibile esaminarlo o portarlo con sé.
Con Little Hope ci siamo trovati davanti a un gioco che rappresenta sia un passo avanti che uno indietro rispetto a Until Dawn e un sostanziale passo avanti rispetto a Man of Medan. Questo perché Supermassive ha deciso di utilizzare un fatto realmente esistente andandoci poi a lavorare su in modo personale e adattandolo alle proprie necessità. Seppur questo passo avanti sia stato sostanziale, ci troviamo davanti a una trama scritta non in maniera ottimale e che punta alla ricerca del jumpscare incessante per spaventare, anziché sfruttare altre caratteristiche. Parzialmente soddisfatti quindi, a contribuire a questo c’è il finale che – anche se non totalmente apprezzato – è stato un colpo di genio ed è stato necessario attendere qualche ora e ragionarci su a mente fredda per poterlo realmente capire. La cittadina di Little Hope è stata realizzata perfettamente da Supermassive e l’atmosfera, seppur già vista in altri frangenti, riesce a mantenere una certa pressione sul giocatore meno esperto e su coloro che gli horror proprio non li riescono a sopportare. Ogni area è coerente con l’ambientazione e racconta in maniera perfetta, come anche la storia della cittadina, niente è stato messo a caso e c’è da fare un enorme plauso agli sviluppatori per questo, in quanto era stato uno dei difetti di Man of Medan.
Little Hope è un passo avanti anche dal puro lato del gameplay, poiché i giocatori vengono confusi molto meno in fase di azione con la posizione dei tasti da premere durante i QTE, che determinano la tipologia di tasto da premere e non vanno mai ad allontanarsi dall’azione, facendo rischiare al giocatore di perdere qualche istante prezioso o qualche scena particolare. Tecnicamente si poteva fare di più, qualche calo di framerate c’è in alcune situazioni (abbiamo recensito il titolo su una vecchia Xbox One, in attesa di poter metter le mani su Series X) e il doppiaggio italiano, seppur buono, pecca abbastanza con un lip sync non del tutto perfetto.
La speranza è che con il terzo titolo, presentato già all’interno di Little Hope e intitolato House of Ashes, Supermassive possa compiere un altro passo e riuscire a portare avanti un’idea basata meno sugli espedienti banali e più sulle caratteristiche dell’horror puro per colpire i giocatori.
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