Abbiamo parlato qualche settimana fa di come la serie Yakuza abbia fatto salti da gigante e che proprio per questo il suo successo in Occidente ha portato una ventata d’aria fresca ai fan delle produzioni orientali. Il Ryu Ga Gotoku Studio è riuscito in 15 anni a portare ben 8 titoli della serie principale di Yakuza (senza contare il gioco dedicato a Ken il Guerriero o Judgment) sugli schermi dei videogiocatori, tutti di grandissima qualità senza aver bisogno di un budget stratosferico. Quello conosciuto come il “Team Yakuza”, però, non si accontenta di proporre un gioco con la medesima struttura e – tutto d’un tratto – decide di rivoluzionare la propria concezione. Like A Dragon è nato come un vero e proprio pesce d’Aprile, tanto che lo Studio Director ha più volte detto che il gioco stava prendendo la forma dei suoi predecessori e solo la reazione del pubblico lo ha portato a riconsiderare come fattibile questa strada. Uscito lo scorso gennaio in Giappone, Yakuza 7: Whereabouts of Light and Darkness – che arriva da noi col titolo Yakuza: Like a Dragon – ha fatto la sua comparsa in Occidente lo scorso 10 novembre, il giorno di lancio di Series X|S, che sono state le uniche console next gen ad accogliere questo nuovo capitolo, almeno fino al prossimo marzo con la comparsa della versione Playstation 5. La recensione arriva in colpevole ritardo, in quanto abbiamo voluto passare più tempo possibile con le avventure di Ichiban e compagni in modo da potervi dare tutti giudizi possibili su uno degli Yakuza più controversi di sempre. Sarà riuscito il simpatico capellone a colpire al cuore come solo Kazuma Kiryu è riuscito a fare? Scopriamolo insieme nella recensione di Yakuza: Like a Dragon.
Ichiban Kasuga è uno Yakuza tutto d’un pezzo, la sua morale lo ha sempre obbligato a comportarsi bene pur mantenendo vive le tradizioni della famiglia Arakawa, una di quelle affiliate al Tojo Clan. L’inizio della sua storia si colloca a cavallo tra il 1999 e il 2000, quando Kamurocho (la versione fittizia di Kabukicho) era ancora territorio di una delle famiglie più importanti del Giappone. Tra le sue mansioni c’è quella di accudire il figlio del presidente Arakawa che, a causa di uno sfortunato incidente che non andremo ad approfondire per non spoilerare, è rimasto paralizzato dalla cintura in giù. Durante una serata in un Hostess Club, Masato allontana brutalmente Ichiban che si ritrova a vagare per le strade di Kamurocho totalmente ubriaco. Svegliatosi nel giorno del suo compleanno, Ichiban scopre che un omicidio è stato perpetrato nelle strade del quartiere ed è stato proprio un membro della famiglia Arakawa a compierlo. Per evitare una guerra interna, Ichiban decide di sacrificarsi ed entrare in prigione, in modo da salvare la propria famiglia; passano purtroppo 18 anni prima che Ichi riesca a vedere la luce del sole, ma una volta fuori lo aspetta un mondo totalmente diverso da come lo conosceva. Con la perdita del Tojo Clan e della famiglia Arakawa, Ichiban cerca di capire di più su come muoversi in un mondo che per lui non ha più senso, finché un poliziotto di nome Adachi, che lo accoglie all’uscita di prigione, non gli apre realmente gli occhi e lo porta al cospetto di Arakawa-san che, per tutta risposta, gli spara e lo spedisce a morire a Yokohama. Qui viene salvato da Nanba, un senzatetto che decide di dargli ospitalità e aiutarlo a riprendersi una vita che ormai gli è sfuggita totalmente di mano. Come in ogni capitolo della serie, Like a Dragon si contraddistingue per la sua trama principale che seppur può sembrare banale, in realtà va a colpire proprio al cuore e andrà a esplorare ancora più a fondo dei precedenti il delicato equilibrio mantenuto grazie all’intervento della yakuza e di come questa sia annidata così in alto da metter in dubbio che forse tutto l’intero sistema sia corrotto. Si è sempre parlato di Like a Dragon come un gioco adatto ai fan neofiti e c’è da dire che per la maggior parte del tempo è così con qualche piccolo riferimento mostrato qui e lì, strizzando molto l’occhio al fan storico della serie. Senza andare a fare particolari spoiler è necessario però segnalare che nella lunga cavalcata che ci porta al finale, saranno presentate delle situazioni che solo fan accaniti della serie potranno apprezzare andando così a cozzare molto con lo spirito di “nuovo protagonista, nuova storia” presentato nel corso degli ultimi mesi. Il poter apprezzare queste sfumature è una cosa sicuramente secondaria e il gioco è completamente giocabile e capibile anche da nuovi fan del brand; questo è però un punto da segnalare per una corretta gestione della recensione.
Nel corso dell’avventura principale si uniranno vari personaggi al nostro cast giocabile (con Nanba e Adachi come perni fondamentali dell’intera avventura), ognuno con la propria storia e il proprio senso di appartenenza a un gruppo all’apparenza composto senza una logica dal team di sviluppo. Se solitamente la storia degli Yakuza è apprezzabile per la mancanza di dettagli fuori posto, Like a Dragon va un po’ a perdersi proprio su questi dettagli. Uno dei difetti più grossi è, infatti, concentrare gli sforzi per costruire determinate storie legate ai protagonisti senza però andare ad approfondire tutto il cast, con quelli che si andranno ad unire alla squadra verso il finale lasciati quasi a stare nel proprio brodo. Un piccolo passo indietro rispetto al passato, però, su cui ci mette una pezza il sistema di gestione dei rapporti con la squadra ampliati ottimamente, grazie ai dialoghi casuali da trovare in giro per le città e a veri e propri eventi disponibili nel Bar che fungerà da ritrovo del gruppo. Dopo aver speso tempo in battaglia con il team, infatti, sarà possibile affrontare dei veri e propri dialoghi con scelte che amplieranno il carattere di Ichiban: qui saranno approfondite tutte le varie backstory con veri e propri racconti in grado far empatizzare il giocatore con un gruppo così caratterizzato e variegato. Lo stesso sentimento si avrà, come ormai da tradizione, con le numerose quest secondarie che daranno vita anche a numerosi minigiochi che andranno ad ampliare l’offerta ludica di Like a Dragon. Se siete videogiocatori completisti, vi farà piacere sapere che per portare a termine tutto saranno necessarie almeno un’ottantina di ore, che possono salire anche a un centinaio in base al vostro stile di gioco.
Uno dei cambiamenti più grandi di questo Yakuza: Like a Dragon è il passaggio da un gameplay più brawler da picchiaduro a scorrimento a uno più classico da JRPG. Il “Like a Dragon Quest” del sottotitolo serve proprio a rendere l’idea, in quanto ci ritroveremo davanti a un gioco molto simile ai classici del genere pur mantenendo lo stesso spirito della serie Yakuza. Ichiban, infatti, sin dai primi momenti dichiarerà di vedere la vita come se fosse Dragon Quest, il suo gioco preferito, chiarendo quindi sin da subito proprio questo aspetto del gameplay e dandogli un senso all’interno del gioco, rompendo quasi la quarta parete. Proprio come nei vecchi DQ, quindi, il nostro party sarà formato da quattro personaggi che andranno ad affrontare la moltitudine di nemici in combattimenti a turni, regolarmente esplicitati a schermo con la possibilità di vedere chi dovrà agire dopo di noi e regolarci così nella gestione dello scontro. Sarà quindi possibile attaccare utilizzando l’arma in nostro possesso, utilizzare degli oggetti, difendersi oppure usare le tecniche speciali che, come prevedibile, ricorderanno molto lo stile classico della serie con la visione quasi eroistica della situazione. Vedremo scene degne del più generico gioco di ruolo adattate al mondo di gioco: attacchi di fuoco creati da una bottiglia d’alcool e un accendino, aliti pestilenziali che andranno a debuffare il nemico o le attenzioni di una donna che provvederanno a curare gli HP del fortunat* di turno. Questo va a implementarsi ottimamente con un sistema di classi che personalizzano in tutto e per tutto il personaggio scelto, con alcune di esse che saranno esclusive e legate quindi al membro del team, come l’Eroe per Ichiban o il Senzatetto per Nanba. Proseguendo con la trama sarà possibile cambiare la propria classe in modo da ampliare così le possibilità offerte dal gioco, andando a creare delle combo totalmente fuori da ogni senso logico. C’è da dire che, al contrario di ogni gioco del genere, non sarete costretti a grindare furiosamente i livelli per poter andare avanzare nel gioco e l’unico scalino di difficoltà andrà a formarsi solo verso gli ultimi capitoli con alcuni scontri (due, in realtà) che potrebbero risultare complicati se affrontati totalmente allo sbaraglio, ma nulla di particolarmente ostico.
Prima di tutto c’è da dire che abbiamo giocato Yakuza: Like a Dragon sfruttando sia la nostra Series X, usufruendo quindi della versione migliore disponibile grazie allo Smart Delivery, sia la versione PC fornitaci a scopo di review dal publisher. Abbiamo quindi visto due delle migliori versioni di Yakuza: Like a Dragon possibili, grazie ai caricamenti veloci dovuti all’SSD e ai 60 fps, veri game changer di questa generazione. Se siamo rimasti totalmente soddisfatti dall’ottimizzazione della versione PC e dalle caratteristiche utilizzate con Series X, quello che purtroppo abbiamo visto a schermo è solamente un antipasto della nuova generazione. La qualità grafica è altissima in alcune cutscene, andando però a perdersi totalmente sui dettagli di alcuni modelli meno lavorati, soprattutto per quanto riguarda i personaggi secondari. Avendo visto le capacità del Dragon Engine con Yakuza 6, che su PS4 ha tirato fuori un capolavoro di tecnica e livello di dettaglio grafico, l’attesa è ora per i prossimi capitoli della serie che dovrebbero arrivare esclusivamente sulle nuove console, così da mostrare subito di cosa siano capaci.
Uno dei motivi, però, per giocare questo capitolo di Yakuza è la totale traduzione dei testi in italiano, cosa che aiuterà sicuramente molte più persone nel buttarsi a capofitto nel gioco del buon Ichi. Così come con Judgment, infatti, il lavoro fatto è di altissima qualità dato che i localizzatori che hanno perfettamente interpretato e utilizzato i numerosi giochi di parole presenti nella versione originale non stravolgendo i significati, ma, anzi, riproducendo il tutto nella maniera più fedele possibile. Di ottima fattura anche il doppiaggio inglese che va ad affiancare quello originale giapponese; c’è da dire però che riteniamo come quest’ultimo sia totalmente fuori livello e che sia quello che tutti dovrebbero utilizzare durante la propria partita.
In definitiva Yakuza: Like a Dragon è un ottimo gioco e, soprattutto, un ottimo inizio per l’eventuale nuova saga che il Team Ryu Ga Gotoku ha in mente. Ichiban è un protagonista totalmente diverso da Kiryu, ma riesce totalmente a reggere il confronto, questo grazie alla scrittura che lo rende più umano e molto più infantile senza però rendere questo un difetto. Uno dei problemi riguarda probabilmente il main cast (tolti Nanba e Adachi) che, seppur ottimamente scritto e presentato, va a perdersi un po’ sul finale e sulla necessità di affidarsi alle attività secondarie per avere una maggior caratterizzazione. La decisione di renderlo un JRPG ha pagato in pieno e riesce a non far rimpiangere il vecchio stile di gioco, ma anzi va a dimostrare come la serie avesse bisogno di essere svecchiata. Uno dei dubbi rimanevano le boss fight, in quanto possibile non rappresentarle degnamente rispetto al passato, ma anche questo è stato fugato durante le oltre 60 ore di gioco necessarie per portar a termine la main quest e qualche compito secondario, ore che vanno a moltiplicarsi nel caso si voglia pensare a completare ogni attività e minigioco. Yakuza: Like a Dragon è sicuramente un gioco che avrebbe meritato più considerazione tra i premi di questo 2020, ma che paga sicuramente il poco appeal e il nome più di nicchia rispetto a The Last of Us, Ghost of Tshushima, Doom e agli altri candidati al Game of the Year ai The Game Awards. Se foste indecisi se dare una possibilità a Like a Dragon, il nostro consiglio è di buttarvi a capofitto perché andreste a scoprire un mondo totalmente nuovo, una storia scritta ottimamente e personaggi meravigliosamente caratterizzati.
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